Proteste in 22 carceri d’Italia da Nord a Sud: dopo Modena e Frosinone la tensione è dilagata in seguito alle limitazioni imposte per contrastare il rischio di contagio da coronavirus. Lo stop ai colloqui coi familiari ha fatto da miccia. Sei le vittime. A Foggia sono evasi numerosi detenuti, una quarantina arrestati. Disordini a San Vittore a Milano e a Rebibbia a Roma, con le infermerie assaltate.
A Pavia due poliziotti tratti in ostaggio poi sono stati liberati. L’ira ha preso il sopravvento anche nella struttura di Regina Coeli, dove sono stati segnalati roghi e fumo. Analoghe scene di protesta a Napoli e Salerno, a Torino e Alessandria. Le agitazioni e le rivolte delle scorse ore hanno richiesto l’intervento delle forze dell’ordine anche a Frosinone, Alessandria, Lecce, Bari e Vercelli. Caos anche a Prato.
Una “situazione molto preoccupante” per il Garante nazionale delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, che ha parlato di proteste “sfociate talvolta in violenze inaccettabili, con conseguenze gravissime, prime fra tutte la morte di alcune persone detenute”.
La sospensione dei colloqui diretti con i familiari, disposta come misura precauzionale per contrastare il diffondersi del virus Covid-19, comporta “un grave sacrificio per le persone ristrette e le loro famiglie”, ma si tratta di una misura a termine, fino al 22 marzo. “La sostituzione delle visite con le video-comunicazioni e con l’aumento del numero di telefonate previste dalla legge richiede uno sforzo organizzativo da parte dell’Amministrazione centrale e degli Istituti, ma soprattutto un impegno teso a favorire una comunicazione corretta e completa sui provvedimenti adottati in carcere e anche sul territorio nazionale”, ha spiegato il Garante.
Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha sottolineato che “se molti di questi disordini sono rientrati, è stato grazie alla professionalità, all’abnegazione e al paziente lavoro delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria, ai quali si sono uniti gli importanti rinforzi delle forze dell’ordine. Nonché grazie a tutto il personale dell’amministrazione penitenziari, a partire dai direttori delle carceri e dai provveditori”.
Il Guardasigilli è “perfettamente consapevole” che un’emergenza come quella del coronavirus “possa creare tensioni all’interno di un carcere, ma deve essere chiaro l’intento delle misure che abbiamo adottato finora: è nostro dovere tutelare la salute di chi lavora e vive negli istituti penitenziari. Fin dal 1 marzo abbiamo portato, all’ingresso delle carceri, le tensostrutture della Protezione civile e stiamo continuando a lavorare affinché ci siano tutte le tutele mediche per favorire la più rapida ripresa dei colloqui con i familiari”.
Però per il sindacato di polizia penitenziaria Sappe i “crescenti episodi di violenza in diverse carceri” chiamano in causa “la frangia più violenta dei detenuti di alcuni penitenziari – tra i quali Salerno, Poggioreale, Modena, Frosinone, Opera – che spalleggiati all’esterno da movimenti di solidarietà costituiti da loro familiari, sta strumentalizzando alcune decisioni assunte dal Governo per fronteggiare il virus”.