Nei primi nove mesi del 2016 i voucher venduti sono stati 109,5 milioni, il 34,6% in più rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. È un quadro all’insegna del lavoro precario quello emerso dai dati sulle tendenze dell’occupazione in Italia diffusi da ministero del Lavoro, Istat, Inps e Inail. I voucher riscossi per attività svolte nel 2015 (quasi 88 milioni) corrispondono a circa 47 mila lavoratori annui full-time e rappresentano solo lo 0,23% del totale del costo lavoro in Italia. Il numero mediano di voucher riscossi dal singolo lavoratore che ne ha usufruito è 29 nell’anno 2015: ciò significa che il 50% dei prestatori di lavoro accessorio ha riscosso voucher per (al massimo) 217,50 euro netti.
“Il tema dei voucher deve essere affrontato circoscrivendo l’utilizzo di questi strumenti che, invece che essere un modo per far emergere il lavoro in nero, rischia di essere uno strumento di precarizzazione che è in contrasto tra l’altro con misure contenute nel Jobs act stesso”, la posizione del ministro della Giustizia Andrea Orlando, secondo il quale, in ogni caso, “sui voucher credo che dovremmo fare un ragionamento molto semplice: vediamo cosa funziona e cosa no dopo l’approvazione del Jobs act e una prima applicazione di questo strumento”.
Da più parti si chiede la revisione, quando non l’abolizione dei voucher, su cui pende anche la spada di Damocle del referendum presentato dalla Cgil. “I voucher vanno aboliti. Non ci sono vie di mezzo. E se il governo non ha il coraggio di cambiare strada, neanche di fronte al risultato del 4 dicembre, allora ci penseranno gli italiani con il referendum promosso dalla Cgil”, attacca il leader della Fiom Maurizio Landini, in una intervista a Repubblica, “ragionare in termini di correttivi significa non rendersi conto che i voucher stanno annullando il rapporto di lavoro e diventando una forma di sfruttamento inaccettabile”.