Non solo la soppressione, ma anche la semplice limitazione, il differimento nel tempo o il dilazionamento degli automatismi che regolano l’accesso alla pensione in base alla speranza di vita e il coefficiente di trasformazione in funzione della dinamica della mortalità “determinerebbero comunque un sostanziale indebolimento della complessiva strumentazione del sistema pensionistico italiano volta a contrastare gli effetti dell’invecchiamento della popolazione”. A sostenerlo è la Ragioneria generale di Stato, nel rapporto 2017 sulle ‘Tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio sanitario’.
Nel documento si sottolinea infatti che mettere mano a questi meccanismi riporterebbe gli adeguamenti “nella sfera della discrezionalità politica, con conseguente peggioramento della valutazione del rischio Paese”. Rispetto al processo di elevamento dei requisiti minimi per il pensionamento di vecchiaia e al meccanismo che li regola, in particolare, la Ragioneria sottolinea come tali automatismi “sono stati valutati con estremo favore dagli Organismi internazionali e, in primo luogo, in ambito europeo”, ricordando che la loro presenza costituisce “uno dei fondamentali parametri di valutazione dei sistemi pensionistici specie per i paesi con alto debito pubblico come l’Italia”.
D’altra parte, prosegue il documento, se pure il meccanismo venisse bloccato il requisito di vecchiaia necessario ad accedere alla pensione “verrebbe comunque adeguato a 67 anni nel 2021, in applicazione della specifica clausola di salvaguardia introdotta nell’ordinamento su specifica richiesta della Commissione e della Bce”. In merito alla revisione dei coefficienti di trasformazione, invece, la Ragioneria di Stato segnala che ipotizzandoli costanti sui livelli determinati per il triennio 2016-2018, il rapporto tra spesa pensionistica e Pil tenderebbe a peggiorare gradualmente, arrivando a presentare un aumento di 0,5 punti percentuali nel 2040.