Mi era sfuggito il durissimo attacco sul Corriere della Sera di Gian Antonio Stella – un giornalista che raramente si occupa di pallone, almeno pubblicamente – a Cassano. Me l’hanno segnalato e sono andato a riprenderlo proprio nelle ore in cui su Fantantonio (il copyright è del mio Guerino, primo anno di Bari) sta uscendo di tutto: ipotesi di dimissioni di Zenga, che non lo vorrebbe alla Samp, e di sostituzione con Prandelli (nonostante il Brasile?), e altre amenità. Cassano, 33 anni, fuori da mesi, uno dei talenti più evidenti del calcio italiano, continua a dividere in modo anomalo, quasi sempre eccessivo, presidenti, tecnici, tifosi, giornalisti. Soprattutto questi ultimi. Mi ha colpito la “veemenza” di Stella. Così l’autore de “La Casta”, ieri. A voi la penultima parola: “Evviva: nessuno vuol più Antonio Cassano. Che non ci sia una squadra che si affanni (così pare) per togliere l’ex campioncino mai diventato campione dalla naftalina in cui si è cacciato è un’ottima notizia. Per il calcio italiano, che forse (non vorremmo illuderci…) ha cominciato a capire come serietà, professionalità, spessore umano, spirito di gruppo siano più importanti, che non la capacità, spesso sprecata per bullismo, di saper fare una veronica o di inventarsi un gol. Ma più ancora un’ottima notizia per lui, l’ormai panzuto ex-fantasista di Bari vecchia. Che forse sbattendo il muso contro il muro potrebbe finalmente imparare (troppo tardi come calciatore, probabilmente, ma non come uomo) quanto fossero oscene e disgustose le parole che disse contro uno molto più grande di lui, come campione e come persona, cioè Roberto Donadoni. Ricordate? Era gennaio, il Parma era sempre più nei guai e lui piantò in asso la squadra, i compagni e l’allenatore sbattendo la porta con la convinzione che tutti, dal Chelsea al Bayern, dal Barcellona al Paris Saint Germain si sarebbero precipitati a implorarlo perché si degnasse di mettere i suoi piedi inestimabili a disposizione delle loro povere squadrette. «Ci vuol più dignità a rimanere in sella che ad andarsene», disse Donadoni, «Non bisogna pensare solo per sé, è da ipocriti e vigliacchi». Al che lui twittò: «Dopo 17 sconfitte parlare di dignità è il colmo!! Capisco che hai perso l’occasione x andare via prima e capisco anche l’attaccamento ai soldi ma prima o poi qualcuno ti cercherà abbi fede Crisantemo!!». Peccato. Se fosse rimasto a Parma vivendo per intero, con onore e dolore, la via crucis fino alla retrocessione, alle aste giudiziarie e al fallimento, forse potrebbe anche lui dire ciò che dice oggi il suo ex allenatore così volgarmente insultato: «Ho imparato più da questa esperienza che in tutta la precedente carriera». Invece no: non ha imparato nulla. Come mai nulla aveva imparato prima. Buttando via, una dopo l’altra, tutte le occasioni che la dea Fortuna gli aveva fin troppo generosamente offerto. Una sola cosa potrebbe tentare di fare: piantarla lì col tappezzamento di tatuaggi, piantarla lì coi tweet suoi e di Carolina (una che twitta «In culo a tutti!! #grande #amoremio»), piantarla lì con le spiritosaggini offensive e tutte le cassanate e, dopo aver chiesto perdono pubblicamente a tutti, a partire da Donadoni, tornare a giocare a calcio. L’unica cosa che, a sprazzi, sapeva fare. Ammesso ne sia ancora capace”.
Ivan Zazzaroni
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