La Nazionale di Conte fresca di promozione alla fase finale dell’Europeo è un atto d’accusa al sistema Italia e una provocazione. Non è una grande squadra e probabilmente sul piano tecnico non lo sarà mai: afferma tuttavia un principio elementare, ovvero che per farne parte occorre innanzitutto giocare con continuità nel club. Non importa quale, né dove.
A Baku quattro titolari su undici erano “stranieri”, ovvero tesserati da club francesi e inglesi, e uno addirittura di nascita brasiliana. Nella ripresa è entrato il quinto “emigrato”, addirittura in Canada. Bene, non dico Verratti e Darmian che oggi sarebbero figure inamovibili in quasi tutte le big del campionato, ma Pellé, El Shaarawy e Giovinco hanno faticato in passato e ancora faticherebbero a ricevere una delle prime maglie dagli allenatori di Juve, Milan, Roma, Napoli, Inter, Lazio, Fiorentina.
Ne parliamo da secoli ormai, ma gli unici a non darci ascolto sono i presidenti della Serie A che per numerose e spesso inaccettabili ragioni – mancanza di coraggio, aggiustamento dei bilanci, opportunità mercantili in uscita e per decenza non mi spingo oltre – alla formazione del prodotto italiano continuano a preferire l’importazione di talenti, vecchi fusti e pippe colossali.
Il messaggio di Conte non ai presidenti bensì ai giocatori è questo: se volete far parte del gruppo abbandonate la panchina di fronte a casa e cercatevi un posto fisso anche all’estero, rispondete così a chi non ha la forza di investire sui “cervelli calcistici” del Paese.
Mentre scrivevo queste righe l’occhio è caduto su una pagina del Corriere della Sera, il cui titolo era (è) “la fuga dei compositori all’estero – ‘L’Italia abbandona i nuovi talenti’”; questo il passaggio più illuminante dell’articolo di Giuseppina Manin: “… in Italia i sordi più profondi, che proprio nulla intendono, spesso sono proprio gli organizzatori culturali, i responsabili di teatri e sale da concerto. Spazi dove il compositore, specie se giovane e italiano, è visto con sommo sospetto, tenuto alla larga come portatore insano di temibili virus sonori”. Le sconfitte.
Ivan Zazzaroni
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