Il giorno è arrivato: gli hanno dato (di nuovo, peraltro) del vecchio da pre-pensionare e in Nazionale è finito in panchina. E’ bastato che Andrea Pirlo decidesse di lasciare la Juve, la Serie A, l’Europa, e scegliesse la Mls, New York, per autorizzare qualcuno a fargli pesare i 36 anni, i nuovi ritmi e anche la barba lunga. “E’ lento, poco ispirato, corre molto meno”, è stato scritto: meglio puntare sul sostituto che già c’è, Marco Verratti.
Ha ragione Zeman quando dice che “non si invecchia in soli tre mesi”; oltretutto contro Malta, la partita della prima svolta, Pirlo non ha giocato peggio dei compagni, tutt’altro: in alcune occasioni ha fatto cantare il pallone con il corto-lungo e la sua ancora inimitabile precisione.
Siamo tutti ben disposti nei confronti del cambio generazionale, ma realizzarlo a pochi mesi dalla fase finale dell’Europeo sarebbe un errore grave. In Francia, a giugno, si chiuderà il fortunatissimo ciclo di Andrea (un titolo mondiale e un secondo posto agli Europei) e soltanto dopo si potrà celebrare la titolarità di Verratti e omologhi.
Conte ha un bisogno enorme di qualità e personalità, soprattutto in attacco ma anche in mezzo, e allora capisco la sua nervosa difesa del “pittore”.
In tutti questi anni ho visto invecchiare e poi ringiovanire improvvisamente campioni come Baggio, Del Piero e Totti: per essere più preciso, li ho visti far invecchiare. Ebbene, di uno come Pirlo la Nazionale non può ancora fare a meno e credo che anche sulla sua assenza nella Juve investiranno numerosi commentatori, tifosi e avversari.
Ivan Zazzaroni
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