È uno scontro fra titani quello che si preannuncia in Brasile nelle elezioni presidenziali. I candidati in corsa sono 11, ma solo due hanno reali possibilità di passare all’eventuale ballottaggio del 30 ottobre: l’ex presidente Luz Inacio Lula da Silva e il capo di Stato uscente Jair Bolsonaro. Due titani della politica, appunto, tanto che secondo un sondaggio Datafolha 8 brasiliani su 10 voteranno per uno di loro. Il che lascia poco spazio agli sfidanti e implica che più che su nuove proposte e programmi dettagliati i due frontrunner hanno insistito sulla loro esperienza e si sono attaccati l’un l’altro.
Le elezioni potrebbero segnare il ritorno della quarta democrazia più grande del mondo a un governo di sinistra dopo quattro anni di politica di estrema destra guidata da un presidente, Bolsonaro, che è stato criticato per aver sfidato le istituzioni democratiche, per la sua gestione della pandemia di Covid-19 (che nel Paese ha ucciso quasi 700mila persone) e per una ripresa economica che deve ancora essere avvertita dalle fasce più povere. I sondaggi mostrano da Silva con un vantaggio imponente che potrebbe addirittura dargli una vittoria al primo turno senza bisogno di andare al ballottaggio. Ma anche se ciò non accadesse, il voto stesso segna un improbabile ritorno politico per Lula: ex operaio metalmeccanico di 76 anni, passato dalla povertà alla presidenza, solo quattro anni fa era stato incarcerato nell’ambito di una massiccia indagine per corruzione che ha preso di mira il suo Partito dei lavoratori e ha sconvolto la politica brasiliana. La condanna di Lula per corruzione e riciclaggio di denaro lo ha lasciato fuori dalla corsa del 2018, in cui i sondaggi lo davano in testa, e ha permesso a Bolsonaro, allora parlamentare marginale di estrema destra, di raggiungere la vittoria. Un anno dopo, tuttavia, la Corte Suprema ha annullato le condanne di Da Silva alla luce delle accuse che il giudice e i pubblici ministeri avevano manipolato il caso contro di lui, il che gli ha permesso di correre di nuovo adesso. Per molti versi, il voto di domenica è la corsa che avrebbe dovuto esserci nel 2018.
Durante la sua campagna, Lula ha cercato di ricordare agli elettori della classe operaia che la sua presidenza (2003-2010) è stata segnata dal progresso sociale, spinto da un massiccio programma di assistenza sociale che ha contribuito a portare decine di milioni di persone nella classe media. Questo non è però ciò che Bolsonaro, che spesso si riferisce a da Silva definendolo un “ladro”, vuole che gli elettori ricordino. Lui, ex capitano dell’esercito, ha condotto una campagna nel 2018 su una piattaforma anticorruzione difendendo un approccio senza pietà alla lotta al crimine, i valori tradizionali della famiglia e l’orgoglio nazionale. Il suo slogan del 2018 – ‘Il Brasile sopra tutto, Dio sopra tutti’ – torna quest’anno. Ma stavolta la campagna di Bolsonaro ha incontrato nuovi venti contrari, in parte a causa delle sue politiche sul Covid-19, che secondo un’indagine del Senato giustificano accuse penali per ritenerlo responsabile di 685mila morti per pandemia registrate in Brasile. In particolare gli hanno voltato le spalle le donne, categoria nel cui elettorato il vantaggio di Lula è di 20 punti. Ma non solo: molti sono rimasti sgomenti per la sua apparente mancanza di empatia durante la pandemia poiché ha rifiutato i vaccini e ha in gran parte ignorato la difficoltà della situazione mentre il Brasile veniva devastato dal virus.
Pesano i tempi difficili che anche il Brasile sta attraversando. Come in altre parti del mondo, nella più grande nazione dell’America Latina l’invasione russa dell’Ucraina ha alimentato l’inflazione e l’insicurezza alimentare. Bolsonaro ha attenuato il colpo abbassando le tasse sul carburante e sostenendo la spinta del Congresso per estendere e aumentare i pagamenti del welfare per milioni di brasiliani in difficoltà. Provvedimento che è stato denunciato da Lula come soluzione temporanea, visto che è in scadenza a dicembre. Da Silva, dal canto suo, promette di combattere la fame e la povertà come ha fatto durante la sua presidenza, attraverso la sua strategia ‘Fame Zero’ acclamata a livello mondiale. La sua scelta di Geraldo Alckmin compagno di corsa, un ex rivale di centro-destra, è stata un cenno ai mercati finanziari, più recentemente rafforzato dall’endorsement ricevuto da parte di un ex governatore della banca centrale, che ha evidenziato una sana politica macroeconomica nella precedente amministrazione da Silva.
I quattro anni in carica di Bolsonaro sono stati anche segnati dalla peggiore deforestazione dell’Amazzonia dll’ultimo quindicennio. Ma nessuna singola affermazione di Bolsonaro ha spinto i moderati a radunarsi attorno a da Silva come l’insistenza dell’attuale presidente sul fatto che il sistema di voto elettronico del Brasile sarebbe soggetto a frodi. La sua affermazione, per la quale non ha presentato prove, ha sollevato preoccupazioni sul fatto che possa rifiutare i risultati elettorali e tentare di aggrapparsi al potere. All’inizio di questo mese, Bolsonaro ha dichiarato in un’intervista che se non vince il primo turno di domenica “sarà successo qualcosa di anormale all’interno della Corte elettorale”. E ha persino accusato alti esponenti dell’autorità elettorale, che sono anche giudici della Corte suprema, di lavorare contro di lui. Tra i pochi gruppi demografici in cui è in testa ci sono i cristiani evangelici, che rappresentano quasi un terzo della popolazione e che nel 2018 lo aiutarono ad arrivare al potere. Bolsonaro e i suoi sostenitori, in ogni caso, sostengono che i sondaggi di quest’anno sottovalutino la popolarità del leader di estrema destra.