“Il Regno unito esca dall’Ue con un accordo”. Reduce da una settimana travagliatissima, tra la bocciatura dell’accordo sulla Brexit e la possibilità di caduta del suo governo, Theresa May è tornata a parlare al Question time alla Camera dei Comuni. E subito è partito lo scontro di opinioni tra la premier e il leader dell’opposizione, Jeremy Corbyn, che l’ha incalzata chiedendole se avesse voluto ascoltare i suoi ministri ed eliminare dal tavolo l’opzione del ‘no deal’, l’uscita del Regno Unito dall’Ue senza accordo. May non ha indietreggiato e ha ribadito la sua posizione, cioè che il modo per evitare un ‘no deal’ è votare per il suo piano di accordo. “Vuole sedersi con Hamas, Hezbollah e l’Ira senza precondizioni – ha tuonato la Prima Ministra – mentre non vuole parlare con me di Brexit“. “La porta del suo ufficio è aperta, ma le menti all’interno sono chiuse sia sul ‘no deal’ sia sull’unione doganale“, ha accusato Corbyn. Poi è arrivato il turno del conservatore Andrew Rosindell, che ha chiesto a May di confermare se il Regno Unito lascerà l’Ue il 29 marzo con o senza accordo. “Rinviare la Brexit non risolve il problema”, ha replicato la premier britannica sottolineando che due anni fa i deputati hanno dato al governo il potere di attivare l’articolo 50 del Trattato Ue (quello riguardante l’uscita).
Le preoccupazioni della Commissione Ue – Intanto da Bruxelles, il portavoce della Commissione Ue Margaritis Schinas si dice pronto a “fare tutto il possibile, con o senza accordo sulla Brexit, per evitare la necessità di un confine e per proteggere la pace in Irlanda del Nord“. “L’Ue è pienamente dietro l’Irlanda. Abbiamo espresso in numerose occasioni piena solidarietà al Paese. E tutto ciò non è cambiato”, ha proseguito Schinas, garantendo che “continueremo a ricordare al governo del Regno Unito le sue responsabilità in base all’accordo del venerdì santo, accordo o non accordo”. Martedì lo stesso portavoce della Commissione Ue aveva sollevato le preoccupazioni di Dublino quando aveva dichiarato che sarebbe stato inevitabile far rispettare il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord in uno scenario di ‘no deal‘: “Penso che sia ovvio: ci sarà un confine rigido”.
Preoccupazioni sottolineate nuovamente anche mercoledì: “L’Irlanda e Ue hanno responsabilità per quanto riguarda la protezione del mercato unico e dell’unione doganale“, ha affermato Schinas, spiegando che “un prodotto che entra in Irlanda del Nord e viene da un’altra parte del Regno Unito entra nel mercato unico”. Se il Regno Unito lascerà l’Ue il 29 marzo senza accordo, il confine fra l’Irlanda e la provincia britannica dell’Irlanda del Nord diventerà di nuovo una frontiera esterna dell’Ue, soggetta a controlli doganali. Il governo irlandese, tuttavia, insiste sul fatto che non introdurrà “infrastrutture fisiche” in un confine che è indivisibile in virtù dell’accordo di pace del venerdì santo. Ma i commenti di Schinas sembrerebbero aver messo pressione sull’Irlanda.
La questione Sony – Il governo britannico ha minimizzato la preoccupazione che la Brexit stia spaventando le imprese, dopo l’annuncio di Sony che trasferirà il suo quartier generale europeo nei Paesi Bassi entro la fine di marzo per evitare problemi doganali legati alla Brexit. Intervistato dall’Afp al World economic forum di Davos, il segretario britannico al Commercio internazionale, Liam Fox, ha dichiarato che la Gran Bretagna è rimasta “aperta agli affari, ed è una destinazione attraente per gli investimenti diretti esteri”.
Sony farebbe così come la sua rivale, Panasonic, che scorso anno ha a sua volta trasferito la sua sede europea dalla Gran Bretagna ai Paesi Bassi per timore di ‘potenziali problemi fiscali’. Così come pensano di fare altre società giapponesi, tra cui Megabank Mufg, Nomura Holdings, Daiwa Securities e Sumitomo Mitsui Financial Group, che hanno dichiarato di voler spostare le loro principali basi Ue fuori Londra dopo il voto Brexit del 2016. Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo e Paesi Bassi hanno tutti beneficiato delle società che si trasferiscono da Londra, anche se il grande impatto previsto da alcuni sul settore finanziario britannico non si è concretizzato.
Tria e Savona – Da Roma, il ministro per gli Affari europei Paola Savona è intervenuto da Palazzo Chigi parlando della Brexit: “Il governo italiano ha avviato da subito un coordinamento che ha seguito tutte le fasi negoziali di recesso e coordinato i preparativi di emergenza – ha detto il ministro -. Nel dicembre 2018, subito dopo il rinvio del voto di ratifica nel Regno Unito, il governo ha pubblicato le linee di intervento in caso di emergenza, che saranno oggetto di un apposito pacchetto di misure legislative e amministrative”. Sul tema dal Forum economico mondiale è intervenuto anche Giovanni Tria. Sulla Brexit ha detto che si deve “essere flessibili, negoziare e negoziare, per scongiurare uno scenario ‘no deal'”.