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Caso Donzelli, al lavoro su giurì d’onore

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Lavori in corso per la definizione del Giurì d’onore che dovrà esaminare il ‘caso’ Donzelli. Il Pd ha chiesto l’applicazione dell’art.58 del regolamento della Camera sentendosi “accusato” dal deputato di FdI di fatti “che ledono la sua onorabilità” e ora spetta al presidente Lorenzo Fontana il compito di nominare una Commissione che giudichi la fondatezza “dell’accusa”. Lo studio dei precedenti fatto da LaPresse lascia ipotizzare che il format sarà a 3 o a 5 componenti. Erano cinque nella XIV legislatura quando Enzo Bianco, ex sindaco di Catania, si sentì offeso dal deputato della Casa delle Libertà Benito Paolone che lo aveva attaccato per la mancata difesa del territorio durante il suo mandato da sindaco e, rivolgendosi al presidente di turno Clemente Mastella, invocò l’intervento del Giurì d’onore. A presiedere la commissione era Alfredo Biondi di Forza Italia e componenti Chiara Moroni (Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo Psi), Edouard Ballaman (Lega Nord Federazione padana), Marco Boato  (Misto-verdi-L’Ulivo) e Paola Manzini (Democratici di sinistra-L’Ulivo). La relazione finale – si legge nei resoconti – stabili che “i rilievi mossi dall’onorevole Paolone non contengano una vera e propria accusa fattuale, bensì un giudizio di carattere eminentemente politico sulla complessiva portata dell’operato dell’onorevole Bianco, nella sua veste di sindaco di Catania pro tempore, in materia di contrasto all’abusivismo edilizio”.

Erano invece a tre componenti nella XVI legislatura. Il Giurì d’onore fu chiamato in causa per ben tre volte. In due circostanze il presidente fu Rocco Buttiglione e ad aiutarlo c’erano una volta Angelo Lombardo e Giacomo Stucchi e un’altra volta Roberto Commercio e sempre il leghista Stucchi. Nel terzo caso toccò a Rosy Bindi presiedere e Renzo Lusetti accompagnava il fedelissimo Zucchi.  La prassi vuole che la presidenza della commissione non vada né alla parte ‘offendente’ né a quella offesa. Né FdI né Pd, quindi, avranno l’incarico. Il presidente andrà trovato quindi tra gli altri vicepresidenti della Camera e – seguendo il ragionamento – sarà o l’azzurro Giorgio Mulè (che però dirigeva i lavori durante i fatti ed è stato parte in causa) o, più probabilmente il deputato M5S Sergio Costa. La composizione della commissione deve in ogni caso rispettare gli equilibri tra maggioranza e opposizione e avere un limite di tempo stabilito allo scadere del quale dovrà terminare i suoi lavori.

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