‘The New York Times’ e ‘The New Yorker’ hanno vinto il Premio Pulitzer per gli scoop che hanno aperto il caso legato al produttore di Hollywood, Harvey Weinstein (nella foto la statua che lo raffigura a Hollywood) e hanno generato uno spartiacque sul tema delle molestie sessuali. Il prestigioso premio è stato assegnato a Jodi Kantor e Megan Twohey del quotidiano della Grande Mela e al collaboratore del periodico, Ronan Farrow, per le inchieste che hanno rovinato la carriera al magnate del cinema a stelle e strisce e hanno scatenato una valanga di accuse contro altri uomini potenti.
Dopo gli articoli pubblicati dalle due testate lo scorso ottobre, oltre 100 donne hanno accusato il produttore di sfruttamento sessuale. Un vero effetto cascata. Weinstein è stato lasciato dalla moglie e la polizia ha aperto indagini a Londra, Los Angeles e New York. Il 66enne produttore è stato colpito da una serie di cause civili che hanno condizionato la sua vita anche dal punto di vista economico.
Dana Canedy, l’amministratrice del Pulitzer, ha commentato che il lavoro dei giornalisti “ha rivelato la presenza di predatori sessuali potenti e ricchi, comprese accuse contro uno dei produttori più influenti di Hollywood stimolando una resa dei conti a livello mondiale sugli abusi sessuali alle donne”.
E poi gli altri riconoscimenti. Per la politica interna, ‘The Washington Post’ e ‘The New York Times’ si sono aggiudicati il Pulitzer per gli articoli sul Russiagate. E non solo: il quotidiano americano ha vinto l’ambito riconoscimento anche nella categoria giornalismo investigativo per il lavoro che ha influenzato l’esito del voto del 2017 per il Senato in Alabama, rivelando il passato di presunte molestie sessuali del candidato repubblicano Roy Moore nei confronti di ragazze adolescenti. L’oppositore di Moore, Doug Jones, ha vinto le elezioni speciali dello scorso dicembre, diventando il primo senatore democratico dell’Alabama in 25 anni: un colpo basso per l’amministrazione del presidente Donald Trump.
La Reuters, ancora, ha vinto il premio del 2018 nelle questioni internazionali per i servizi sulla guerra alla droga del presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte. L’agenzia di stampa americana ha anche vinto nella categoria dei lungometraggi per la copertura della crisi dei Rohingya.
“I vincitori mantengono il più alto obiettivo di una stampa libera e indipendente anche nei momenti più difficili – ha commentato Canedy -. Questi giornalisti coraggiosi, stimolanti e impegnati e le loro testate sono imperterriti nella loro missione a sostegno del ‘Quarto potere’. È un compito – ha concluso – ancora centrale per una democrazia sana”.