Dopo 24 ore supplementari di negoziati, i Paesi firmatari dell’accordo di Parigi negoziano ancora per provare a raggiungere un’intesa ed evitare che la Cop25 si concluda con un fallimento. I lavori dovevano concludersi venerdì, ma sul testo presentato dalla presidenza del Cile non c’è accordo e le posizioni restano distanti, tanto che nel pomeriggio la delegazione cilena ha annunciato che sarà presentato un nuovo testo, assicurando che non si va verso una sospensione del vertice. L’obiettivo è rispondere agli appelli dei giovani di tutto il pianeta per azioni più radicali a favore del clima: se la riunione dovesse concludersi con un nulla di fatto, come fu nel 2000, significherebbe che i milioni di giovani scesi per le strade del mondo seguendo l’attivista svedese Greta Thunberg non sono stati ascoltati.
“Ho bisogno di tornare a casa, guardare i miei figli negli occhi e dire che abbiamo avuto un risultato che garantirà il loro futuro”, ha dichiarato la rappresentante delle Isole Marshall, Tina Stege. “Era la Cop dell’ambizione, non vediamo questa ambizione”, ha rincarato la dose Carlos Fuller, capo negoziatore per il gruppo dei 44 Stati insulari, particolarmente vulnerabili all’aumento del livello del mare.
Molto deluse dal risultato di due settimane di discussioni anche le ong. “La presidenza cilena ha un compito: proteggere l’integrità dell’accordo di Parigi e non permettere che venga distrutto da cinismo e avidità”, denuncia la direttrice esecutiva di Greenpeace, Jennifer Morgan. A cui fa eco Jamie Henn, della ong 350.org: “Una manciata di Paesi rumorosi ha dirottato il processo prendendo in ostaggio il resto del pianeta”. Nel mirino dei difensori dell’ambiente, oltre che gli Stati Uniti che usciranno dall’accordo di Parigi a novembre del 2020, anche Cina e India che insistono, prima di rivedere al rialzo i propri impegni, sulla responsabilità dei Paesi sviluppati di fare di più e di rispettare le loro promesse di aiuti finanziari ai Paesi in via di sviluppo. E nel mirino ci sono anche Australia e Brasile, entrambi accusati di volere introdurre nelle discussioni delle disposizioni che secondo gli esperti minerebbero l’obiettivo stesso dell’accordo di Parigi.
Il verdetto della scienza è senza appello: per evitare la catastrofe climatica bisogna trasformare radicalmente l’economia per cominciare a ridurre le emissioni di gas serra e avere una possibilità di rispettare gli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi, cioè di limitare il riscaldamento globale a 2°, anche 1,5°, rispetto all’era preindustriale. Al ritmo attuale le temperature potrebbero salire di 4° o 5° entro la fine del secolo. Anche se i circa 200 firmatari dell’accordo di Parigi rispetteranno i loro impegni, il riscaldamento supererà 3°. Tutti gli Stati devono dunque presentare entro la Cop26 di Glasgow una versione rivista dei loro impegni.
Finora circa 80 Paesi si sono impegnati ad aumentare le proprie promesse, ma rappresentano solo il 10% delle emissioni mondiali. Quasi nessuno dei Paesi che inquinano di più – Cina, India e Stati Uniti – sembra volersi unire a questo gruppo. Solo l’Unione europea questa settimana si è accordata su un obiettivo di neutralità climatica entro il 2050; ma senza la Polonia, molto dipendente dal carbone. E gli europei non si pronunceranno prima dell’estate sull’aumento dei loro impegni per il 2030.