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Contro il Conte Bis Meloni e Salvini si prendono la piazza tra i saluti romani

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

Giuseppe Conte chiede la fiducia all’aula di Montecitorio e, fuori, la piazza e le strade si affollano di manifestanti contro il “governo dei poltronari”. Li ha chiamati a raccolta la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. A lei si sono uniti, poi, la Lega di Matteo Salvini e ‘Cambiamo’, nuova forza politica creata da Giovanni Toti dopo il divorzio con Silvio Berlusconi.

Non ci sono bandiere di partito, ma moltissimi Tricolore. Qualcuno, (come Casapound) usa gli adesivi sui megafoni, da cui strilla contro Beppe Grillo, Roberto Saviano, Laura Boldrini e Pd quegli stessi ‘Vaffa’ che, non molti anni fa, era il comico di Genova a indirizzare ai palazzi. A ruoli invertiti. I fischi più sonori, però, li prende il premier. Ogni volta che qualcuno fa il suo nome dal palco, la piazza ribolle e urla a una voce sola “Buffone”.

Qualche saluto romano, l’inno d’Italia cantato con vigore a più riprese, un po’ di tensione con le forze dell’ordine che chiudono gli accessi, ma la dimostrazione, nel complesso, non crea problemi. I manifestanti giurano di essere una fiumana e polemizzano con i giornalisti, accusati di averli sminuiti. “Qualche collega, non ho parole, non ha visto questa marea di gente. Qualcuno mi ha detto: È una piazza eversiva. Sicuramente è diversa perché siamo a volto scoperto, poliziotti e carabinieri sorridono con noi, non è la piazza di centri sociali e di zecche”, precisa Salvini, che si spinge a definire i giornalisti che dissentono come “servi del potere”.

Durante l’intervento di Toti, Meloni scatta un selfie dal palco: “Devo mandarlo a una tv, dicono che siamo in pochi”. Quando sale sul palco, rimpiange di aver fatto un solo errore: non aver chiesto di poter occupare Piazza del Popolo. “Avremmo tranquillamente potuto riempirla. C’erano migliaia di persone che stamattina volevano essere qui a dire ‘Non in mio nome'”. Risponde a chi, dentro i palazzi, le rimprovera di non rispettare le prerogative della Repubblica parlamentare. Li definisce “ladri di democrazia”: “Il Palazzo non si può organizzare contro il popolo. Loro sanno che stanno facendo una cosa che gli italiani non vogliono e siccome sanno di non poter vincere una libera competizione alle elezioni, la rubano”.

“Non vi nascondete dietro la Costituzione, che all’articolo 1 recita che la sovranità appartiene al popolo. Il mandato popolare è una cosa sacra”. Per la leader di Fdi, la “manovra giallorossa di palazzo” nasconde un unico obiettivo: eleggere Romano Prodi (“quel campione mondiale di svendita dell’Italia”) prossimo presidente della Repubblica. “Non ci arriveranno”, promette. Poi dà alla Lega, al suo amico Matteo, il bentornato all’opposizione della sinistra.

Il Capitano, che sembra tornato all’ovile, riparte dalle piazze e lavora alle Regionali: “In Umbria, Emilia Romagna, Marche, Toscana, Puglia, Liguria, Veneto, l’obiettivo è uno: vincere democraticamente”. Dà appuntamento alla sua manifestazione del 19 ottobre nella molto più spaziosa piazza San Giovanni. E, nel dibattito interno, punta ad allargare la coalizione: “Non è il momento in cui dire ‘tu no’. Non si può dire di no a nessuno”. Il Cav è avvertito.

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