I commissari straordinari dell’ex Ilva consegnano nelle mani del procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, e del procuratore aggiunto, Maurizio Carbone, un esposto-denuncia sul rapporto con Arcelor Mittal, per fatti e comportamenti “lesivi dell’economia nazionale”. E i magistrati tarantini aprono l’inchiesta per distruzione di mezzi di produzione.
Il 4 dicembre è dietro l’angolo e, ora, nessuno vuole restare a guardare. Parti sociali, Confindustria e Governo sono sulle barricate per evitare che l’acciaieria chiuda.
Ringrazia pubblicamente i commissari il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli. Si schiera dalla parte degli operai il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, che, a Bologna per la kermesse dem, chiede di raccogliere il grido d’allarme dei lavoratori. Sottolinea bene che le soluzioni sono nelle mani del premier Giuseppe Conte, che ha avocato a sé la gestione del delicatissimo dossier. Ma, fa notare, ci sono alcuni passaggi che vanno seguiti con una “tempistica contratta”: “Il tema degli altoforni può essere una curva drammatica, non sta a me dare soluzioni ma chiedo al governo tempestività”.
Chiede coraggio Italia Viva, con la ministra pugliese Teresa Bellanova: “Lo Stato deve affermare la sua credibilità e la sua terzietà rispetto a un confronto che deve andare avanti tra l’azienda e le organizzazioni sindacali”, dice. Taranto, insiste, non può morire per una “politica incapace di assumersi la responsabilità della decisione e per la scelta di un imprenditore che, magari utilizzando un errore commesso dallo Stato, pensa di scaricare su ventimila famiglie questo incidente”.
Si scaglia contro la battaglia politica “sulla pelle dei lavoratori” il leader della Lega, Matteo Salvini. Il governo, sostiene, non può pensare di risolvere i problemi delle imprese per vie legali: “vuol dire che abbiamo persone pericolose e incapaci. Gli operai lo hanno capito da tempo”.
Ripristinare lo scudo penale è quello che chiede da settimane Confindustria. “Non serve a niente la rincorsa agli alibi”, tuona il presidente Francesco Boccia. Per gli industriali, servono fatti concreti perché si metta in salvo la sostenibilità, quella ambientale, ma anche quella sociale ed economica: “Ci vuole buonsenso, pragmatismo e realismo per risolvere la questione”.
Gli fa eco la Cisl. Il governo ha la responsabilità di aver fatto un “errore assolutamente sciagurato”, punta il dito la segretaria generale, Annamaria Furlan: “Quello di cambiare le regole del gioco in corso e togliere lo scudo”. Questo è stato un errore che deve riparare, dice, invocando un decreto d’urgenza. La richiesta al premier è che porti al tavolo con i sindacati la proprietà. Sulla causa, si dice preoccupata. Sono in ballo non solo 20 mila posti di lavoro, ma anche la possibilità per l’Italia di essere competitiva su un grande mercato dell’acciaio. Le aule di tribunale però “durano tanto tempo”, osserva. E intanto le aziende chiudono, i lavoratori restano disoccupati.
Molto più tranchant il leader di Cgil, Maurizio Landini: “Se passa l’idea che tu fai gli accordi, che partecipi a gare pubbliche, che firmi accordi di fronte al governo e poi te ne puoi sbattere e disapplicarli siamo alla barbarie e quindi una logica di questo genere non è accettabile da nessuno”. Landini chiama alla lotta il Paese intero e il governo, suggerisce, dovrebbe avere meno timori nel dire che è pronto a ripristinare lo scudo.
I sindacati del comparto elettrico dell’acciaieria di Taranto, intanto, giurano che non fermeranno le centrali: “Non permetteremo, a chi ha preso precisi impegni contrattuali verso il Governo, verso i lavoratori e verso tutta la città, di voltare le spalle ad una nazione intera”.