Tensione oltre i livelli di guardia e a 360 gradi per l’Ex Ilva. Se da un lato l’emergenza economica rischia di lasciare a casa 15mila persone e gravare per lo 0,2% del Pil, il recesso annunciato da Mittal sta creando crepe importanti nell’esecutivo. Giuseppe Conte cerca infatti una exit strategy per uscire dallo stallo, ma l’’opzione di riproporre lo scudo penale sponsorizzato da Pd e Italia Viva al momento trova la diffidenza del M5S. Rimane, infatti, il problema della produzione ridotta a 4 tonnellate l’anno, con 5mila esuberi conseguenti. E mentre il Colle fa trapelare la sua preoccupazione, l’azienda sceglie la via del silenzio assoluto, che indica che al momento i segnali dal governo non sono stati recepiti positivamente.
In serata il premier riunisce a Palazzo Chigi mezzo governo, il mondo dei sindacati e gli enti locali e lancia un appello: “Restiamo uniti, questo sarò un tavolo permanente”. Peccato che al momento tutte le offerte fatte a Mittal siano cadute nel vuoto, come “lo scudo, offerto sul tavolo subito” da un governo “compatto”, ha spiegato Conte. Ma anche l’idea di trasformare Taranto nell’hub della energetica nel siderurgico non attecchisce, mentre l’ipotesi nazionalizzazione non viene esclusa dalla maggioranza. L’ultima spiaggia sarebbe quella della battaglia legale, palesata anche dall’amministrazione straordinaria.”Non è un problema legale, perché una battaglia legale ci vedrebbe tutti perdenti. Ove mai fosse giudiziaria, sarebbe quella del secolo”, avverte Conte a muso duro.
Un piglio rigido, simile a quello usato dal ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli : “Mittal ha detto che non è in grado si rispettare il piano industriale e occupazionale, e il governo non può accettarlo”, scandisce tra gli applausi della Camera. Di fatto è un attacco diretto ai Mittal, che secondo il Mise avrebbero firmato la propria offerta vincolante nel 2017 quando in realtà lo scudo legale era garantito solo fino al 2019. E ancora: “Non accettiamo che lasci a piedi questo Paese , dobbiamo tutelare la nostra sovranità nazionale.
Non facciamoci prendere dal naso da un’azienda, non possono lasciare cambiali”. Alla fine della relazione scatta anche la protesta leghista: “A casa voi, non gli operai Ilva”.
Su Facebook arriva in contemporanea la stoccata durissima di Luigi Di Maio, che firmò l’accordo sindacale datato 6 settembre 2018: “Se una multinazionale ha firmato un impegno con lo Stato, lo stato deve farsi rispettare, chiedendo il rispetto dei patti e facendosi risarcire i danni”. Postilla tecnica: se Mittal lasciasse davvero, il primo step sarebbe la gestione commissariale degli impianti in capo al Mise.
L’appello dell’esecutivo è remare tutti nella stessa direzione , magari con i sindacati rimasti spaccati nella giornata di ieri per la fuga in avanti della Fim Cisl. Ora invece arriva lo notizia dello sciopero di 24 ore per l’intero Gruppo Arcelor Mittal ex Ilva a partire dalle ore 7 di venerdì 8 novembre 2019, già programmato per il sito di Taranto. “Le organizzazioni sindacali nazionali di Fim, Fiom e Uil dichiarano intollerabile quanto emerso dall’incontro di ieri tra il Presidente del Consiglio e i vertici di ArcelorMittal, programmato per chiedere il ritiro della procedura di disimpegno dagli stabilimenti dell’ex Ilva annunciata il 4 novembre”, si legge in una nota. La multinazionale “ha posto delle condizioni provocatorie e inaccettabili e le più gravi riguardano la modifica del Piano ambientale”. La trattativa tra governo e azienda però deve ancora iniziare: possibile un incontro la prossima settimana,il tempo per creare nuovi tormenti dentro e fuori Taranto.