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Gb, da Churchill a Truss: i premier alla guida del Paese

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Liz Truss si è dimessa dopo appena 45 giorni. In carica dal 6 settembre, il suo è stato il mandato più breve della storia britannica, ben lontano da come fu per Winston Churchill – che guidò il Paese dal 1940 al 1945 portandolo alla vittoria nella Seconda guerra mondiale – e per Thatcher – in carica dal 1979 al 1990, che strinse un’alleanza liberista con l’allora presidente Usa Ronald Reagan che caratterizzò tutti gli anni ’80. Il laburista Tony Blair, premier fino al 2007, incarnò invece la cosiddetta terza via, diventando un modello per una parte della sinistra orientata ai valori liberal. Mentre sotto il premier conservatore David Cameron il Regno Unito ha lasciato l’Unione europea, una decisione storica che ha impresso una svolta nella politica britannica. La Brexit è stata portata avanti poi da Theresa May e Boris Johnson.

Da Sir Robert Walpol a Winston Churchill

Sir Robert Walpol è generalmente ritenuto il primo premier britannico, che guidò il Paese tra il 1721 e il 1724, durante la monarchia di Giorgio I e Giorgio II. La carica politica allora non era riconosciuta dalla legge ma Walpole, del partito Whig, ricopriva l’incarico de facto avendo un’ampia influenza all’interno del gabinetto. Dopo di lui si sono succeduti 59 premier, fino a Winston Churchill, il 61esimo. Tra loro, William Pitt il Giovane, dei Tory, che governò dal 1783 al 1801 e poi dal 1804 al 1806, diventando il protagonista nella lotta egemonica del Paese contro la Francia; il liberale William Ewart Gladstone, quattro volte premier tra il 1864 e il 1894, che varò numerose riforme: abolì i privilegi della Chiesa anglicana in Irlanda, promosse l’istruzione pubblica e allargò il suffragio elettorale; Benjamin Disraeli, due volte premier dal 1868 al 1880, che si impegnò per rafforzare il primato inglese all’estero e fece conferire alla regina Vittoria il titolo d’imperatrice delle Indie.

Winston Churchill

(foto AP)

Il più noto primo ministro britannico, guidò il Paese dal 1940 al 1945 diventando il simbolo della resistenza contro la Germania nazista. Fin dagli anni ’30 criticò apertamente la politica estera conciliante del premier Neville Chamberlain nei confronti di Adolf Hitler e del suo alleato Benito Mussolini. Sconfitto nelle elezioni del ’45, l’anno successivo tenne il famoso discorso al Westminster College di Fulton (Missouri) in cui parlò della “cortina di ferro calata sul fronte dei russi”, che secondo molto storici ha segnato l’inizio della Guerra fredda.

Margaret Thatcher

Nota come la Lady di ferro, resta la leader preferita dei conservatori. Rimase alla guida del Paese dal 1979 al 1990. La sua leadership fu contraddistinta da una politica rigorosamente liberista, di tagli alla spesa pubblica, di privatizzazione e di intransigenza nei confronti del movimento sindacale. Strinse una solida alleanza con l’allora presidente Usa Ronald Reagan.

John Roy Major

Successore di Thatcher, la sua premiership, che durò fino alle elezioni del 1997, fu contraddistinta da una linea più moderata nei confronti del processo di integrazione europea. Il Parlamento britannico ratificò sotto di lui il Trattato di Maastricht, che trasformò la Comunità economica europea nell’Unione europea. Major ottenne l’esclusione dalla moneta unica e dall’accordo di Schengen sulla libera circolazione di persone e merci.

Tony Blair

(foto Ap)

Assunse l’incarico di premier dopo la vittoria delle elezioni nel 1997. Durante la sua premiership coniugò i principi del libero mercato con le esigenze di tutela sociale. Fu il primo leader laburista a vincere tre elezioni politiche consecutive. Noto è il suo contributo dato all’assistenza del processo di pace in Irlanda del Nord, che ha portato a stipulare il Good Friday Agreement (l’Accordo del Venerdì Santo), e il suo sostegno alla devolution, per l’aumento dei poteri ai rappresentanti eletti di Scozia, Irlanda del Nord e Galles.

Gordon Brown

Premier dal 2007 a 2010, già Cancelliere dello Scacchiere sotto il governo Blair, il laburista Brown ha perseguito una politica di rilancio economico del Regno Unito insieme a una ferma opposizione all’introduzione dell’euro nel Paese. Dopo le elezioni del 2010 si è dimesso dalla carica di leader del partito.

David Cameron

Premier dal 2010 al 2016, prima in coalizione con i liberali, sotto la sua guida si è tenuto nel 2016 il referendum per lasciare o rimanere nell’Unione europea. Convinto sostenitore del ‘remain’, si è dimesso dopo la vittoria del ‘leave’.

Theresa May

(foto AP)

La conservatirce ha assunto l’incarico di premier dopo le dimissioni di Cameron, guidando il Paese fino al 2019 nel travagliato percorso verso l’uscita dall’Ue. Non essendo riuscita a far approvare l’accordo di divorzio tra Londra e Bruxelles dal Parlamento britannico per ben tre volte, ha rassegnato le dimissioni. “Provo profondo rammarico per non essere riuscita ad attuare la Brexit”, ha detto May nel discorso con cui ha comunicato il passo indietro, aprendo la strada alla leadership di Johnson.

Boris Johnson

Sindaco di Londra e poi ministro degli Esteri nel governo May, Boris Johnson ha assunto la carica di premier nel luglio 2019. Esponente dell’ala euroscettica e anti-immigrati del partito, ha guidato l’uscita del Regno Unito dall’Ue, avvenuta ufficialmente il 31 gennaio del 2020. Durante la sua leadership ha dovuto affrontare la risposta alla pandemia di Covid-19. Fautore inizialmente di una strategia del ‘liberi tutti’ per raggiungere rapidamente l’immunità di gregge, è stato al centro delle polemiche per aver detto che i cittadini dovevano abituarsi a perdere i propri cari. Ha contratto lui stesso il Covid-19 in forma grave e ha poi cambiato strategia, imponendo nel Paese limitazioni alle riunioni e ai grandi eventi. Si è schierato con fermezza dalla parte dell’Ucraina, inviando armi a Kiev e imponendo sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin. Travolto dagli scandali del ‘Partygate’, per aver partecipato a feste negli uffici governativi durante il lockdown, e dal caso Pincher (il conservatore accusato di aver palpeggiato due uomini da ubriaco), ha rassegnato le dimissioni da leader del partito conservatore il 7 luglio, dopo il passo indietro della maggior parte dei ministri del suo governo.

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