“Attenzione a non far diventare il Giorno della Memoria mero commemorativismo”. Moni Ovadia, uomo di teatro, musicista, scrittore, cantore della cultura yiddish, discendente da famiglia ebraica-sefardita, intervistato da LaPresse, mette in guardia dal pericolo di “strumentalizzazione” sul tema della Shoah.
Che rischio vede?
Il pericolo è che il 27 gennaio si trasformi nel giorno della falsa coscienza, della retorica e dell’ipocrisia. Non si può andare con lo zucchetto nei luoghi dell’orrore e poi lasciare morire in mare migliaia di innocenti, donne, vecchi, bambini. C’è qualcosa che non funziona. La memoria deve essere un progetto per costruire un altro mondo, altrimenti è un boomerang. Io ho sempre più l’impressione che qualcuno si lavi la coscienza dicendo ‘io voglio tanto bene agli ebrei’ e poi perseguita i rom e i sinti ed è indifferente alle sofferenze dei popoli che sono stati devastati dalle cosiddette ‘guerre democratiche’.
Come bisognerebbe ricordare l’Olocausto?
Io penso che si debba cambiare denominazione al ‘giorno della memoria’ e che si debba parlare di una ‘giornata delle memorie’. E poi bisogna mettere in campo tutta la storia degli orrori di cui l’umanità si è macchiata a partire dalla modernità, come il Colonialismo che io considero il crimine più vasto e perdurante di cui è principale responsabile ‘la tribù bianca’, gli occidentali. La memoria non va ridotta a un rituale celebrativo e vacuo, ma deve reagire a tutte le forme di revisionismo e negazionismo. Se il giorno della memoria non diventa il paradigma per abolire le ingiustizie e le sopraffazioni e le discriminazioni di oggi, non si onorano i morti, ma li si offendono.
Che clima si avverte sul tema dell’antisemitismo e della Shoah in Italia oggi?
Quando abbiamo un politico italiano come Matteo Salvini che cerca di attribuire la colpa dell’antisemitismo ai musulmani è chiaro che diventa tutto una strumentalizzazione incrociata. Israele mira a impadronirsi dell’eredità della Shoah per giustificare l’oppressione sconcia del popolo palestinese. E tutti se la giocano per fare i carini con gli ebrei. Ma i rom e i sinti non sono morti ad Auschwitz? L’ebreo è divenuto il totem attraverso cui ricostruire la verginità della civiltà occidentale. Ma l’ebreo di oggi è il rom, è il musulmano, il palestinese, è il profugo che trova la morte nel Mediterraneo. Abbiamo bisogno di sapere che la memoria serve ad edificare presente e futuro e la civiltà. Altrimenti è solo vuoto celebrativismo.
Lei è critico con la destra italiana riguardo alla sua posizione sul Fascismo…
La destra italiana si è crogiolata nel mito falso di ‘italiani brava gente’. La brave gente non ha nazionalità. E’ stato istituto anche il giorno del ricordo, non per onorare i morti delle Foibe, cosa giusta, ma per rifarsi la verginità. Lo si celebra facendo finta che nella ex Yugoslavia i fascisti non abbiano fatto niente. Non c’è nessuna riabilitazione da fare. Dovremmo fare i conti con quel passato, come ha fatto la Germania: si sono chiesti ‘non perché abbiamo fatto questo agli ebrei, ma perché lo abbiamo fatto a noi stessi’. La cosa peggiore che può fare un essere umano a se stesso è essere carnefice del suo simile. Perché è il nostro simile che ci da’ il senso della vita, che è lo scambio, l’accoglienza.