La quota vincente
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Governo, asse M5S-Lega scricchiola. Prende quota ipotesi Conte premier

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Punto e accapo, signor maestro. Quando le fanfare erano pronte già a suonare a festa per il governo M5S-Lega, il fiato dei trombettieri Luigi Di Maio e Matteo Salvini si è strozzato in gola. Sul più bello e in uno dei luoghi simbolo della democrazia italiana, la sala della Vetrata del Quirinale: è lì che si è materializzata una distanza che gli stessi attori dell’ormai famigerato ‘contratto’ alla tedesca hanno chiesto di valutare attentamente, chi nei prossimi giorni (il capo politico pentastellato), chi nelle prossime ore (il segretario federale del Carroccio). Che esistesse ancora distanza tra le parti su determinati punti programmatici era questione nota, ma che addirittura fosse così profonda da rischiare di mandare l’accordo a ramengo, era difficile anche solo ipotizzarlo. Soprattutto dopo l’intenso fine settimana di lavoro a Milano, che sembrava aver fatto fare un salto di qualità alla trattativa, sia sugli argomenti che sul nome del prossimo presidente del Consiglio.

Nelle ore di immediata vigilia della salita al Colle, però, il clima è apparso subito teso. Per l’intera mattinata il via vai negli uffici dei gruppi parlamentari di M5S e Lega alla Camera è stato frenetico. Di Maio si è presentato verso ora di pranzo alla sua scrivania di Montecitorio, di ritorno dalla intensa trasferta lombarda, e subito alla sua porta si sono affacciati alcuni pezzi da novanta del Movimento, come il questore anziano Riccardo Fraccaro, o il deputato Manlio Di Stefano, mentre alla spicciolata sono comparsi anche i capigruppo, Danilo Toninelli e Giulia Grillo. Nonostante l’ampio schieramento di cronisti a caccia di una notizia o un indizio, tutti sono rimasti con le bocche rigorosamente cucite. Anche due piani più giù, dove ci sono le stanze riservate al Carroccio, deputati e dirigenti hanno atteso che arrivasse Salvini, ma il leader è apparso solo pochi istanti prima dell’ultimo vertice con il capo politico dei pentastellati, e portando in dote una piccola ‘bomba’ consegnata ai giornalisti che chiedevano se fosse Di Maio il prescelto per guidare Palazzo Chigi. “No” è stata la risposta secca. Anche se il giovane leader pentastellato pare non abbia abbandonato definitivamente l’idea di essere il prossimo presidente del Consiglio.

Ma, a quanto riferito da fonti parlamentari, sembra proprio che al Colle un nome sia stato fatto. Almeno nel primo dei due colloqui, quello con la delegazione dei Cinquestelle. Si tratterebbe di un ‘terzo uomo’ e l’ipotesi che ha preso quota è che possa essere Giuseppe Conte, vicepresidente e membro del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa. Del resto non è un mistero che a Di Maio il profilo piaccia, anche perché era già nella lista dei possibili ministri, che fece recapitare proprio al presidente Mattarella prima delle elezioni del 4 marzo, come responsabile della Funzione pubblica.

Se invece di convocare Conte, il Quirinale ha concesso altro tempo alle forze politiche che stanno tentando di formare il governo, evidentemente non c’è stato un assenso convinto della Lega. Da quanto trapela negli ambienti parlamentari, Salvini non ne avrebbe fatto un problema di nomi, ma di temi: la distanza su immigrazione, rapporto con l’Europa e infrastrutture è ancora troppo ampia per siglare il contratto. Eppure qualcuno, a taccuini chiusi, ipotizza che il nuovo impasse non riguardi esattamente né nomi, né argomenti da trattare, ma piuttosto il ruolo del Carroccio nel esecutivo giallo-verde. Se il nome viene dalla rosa dei Cinquestelle, i temi portanti sono quelli dei Cinquestelle e non c’è disponibilità a concedere maggiore agibilità all’approccio leghista sul core business della loro azione politica (l’immigrazione), i ‘lùmbard’ temono di essere soci di minoranza e condannati a una parziale irrilevanza. Una diminutio che Salvini proprio non può permettersi, proprio ora che il suo storico alleato, Silvio Berlusconi, ha riacquistato la possibilità di candidarsi e soprattutto ha deciso di mettersi all’opposizione, dove guadagnerebbe punti con il minimo sforzo. Sarebbe come infilarsi in trappola senza avere vie d’uscita. La soluzione peggiore, proprio quella che il Cav gli aveva prospettato prima di concedergli il via libera alla trattativa con Di Maio.
 

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