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Governo, Conte incassa la fiducia Senato: 156 sì. Meloni e Salvini chiedono un incontro al Colle

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La scossa c’è, ma la casa non crolla. Giuseppe Conte supera lo scoglio più insidioso, quello del Senato, dove consuma il ‘duello’ di parole con Matteo Renzi, e porta a casa una maggioranza risicata (anche grazie al voto di tre senatori a vita, come Liliana Segre, Mario Monti ed Elena Cattaneo). Della serie: troppo per ‘stare sereno’, troppo poco per superare lo strappo di Iv. L’astensione dei 16 renziani, infatti, risulta, decisiva. Il risultato finale è 156 voti favorevoli, 140 contrari e 16 astenuti.

Una maggioranza tanto risicata che il centro destra, Giorgia Meloni e Matteo Salvini in particolare, chiede subito un incontro al Colle.

Del resto la linea era chiara già dal fine settimana: proviamo a puntare subito al bottino grosso dei 161 per l’autosufficienza, ma se il piano non riesce va bene anche un voto in più delle opposizioni. Poi si costruirà il grande progetto del nuovo ‘Centro 2.0’, aperto a europeisti, socialisti, popolari e liberali. Ergo, a quei pezzi di centrodestra che non hanno intenzione di consegnarsi al sovranismo. Come Maria Rosaria Rossi, ex fedelissima di Silvio Berlusconi, che accorda la fiducia al governo, come il suo collega di partito Andrea Causin, Ma i riflettori sono sempre puntati sull’Udc, che per il momento resta dov’è, votando no alla fiducia in questa fase, ma una volta che il clamore della crisi sarà sopito “vedremo che direzione prendere”, per dirla con le parole di Paola Binetti. Che lascia un monito all’ex ‘avvocato del popolo’: “I giochi sono tutti nelle mani del premier”. Conte quel discorso l’ha capito benissimo. Al punto che in aula ammette candidamente: “Certo che c’è un problema di numeri della maggioranza. Se non ci sono, il governo va a casa”. Pur sapendo che non sarebbe stato questo il tempo di un addio.

Prima c’era da mettere nel sacco Renzi. Che porta il suo gruppo all’astensione, ma non rinuncia a sparare sul presidente del Consiglio: “Questo governo non è il migliore del mondo, davanti alla pandemia ne serve uno più forte”. Anche perché ne fa una questione di opportunità. “Ora o mai più” è il refrain che ripete in aula il senatore toscano, associandolo alle scelte su scuola, visione di futuro, Recovery fund, infrastrutture. Un attacco diretto a cui Conte non si sottrae e, a differenza del discorso tenuto alla Camera il giorno prima, Conte stavolta si rivolge direttamente a Italia viva. Soprattutto per solleticare le sensibilità di quei parlamentari renziani poco disposti a votare contro il Pd (partito che li ha fatti eleggere) e contro il governo. “Il confronto collegiale si può fare anche con toni tranquilli. Avremmo potuto risolvere tutto in una ventina di giorni”, dice appoggiando i pugni sul banco. Chi aspettava lunghi coltelli, però, si sarà dovuto accontentare di un botta e risposta, ruvido, ma senza eccessivi spargimenti di sangue.

Questo perché la fase è delicata. Conte è così costretto a rivolgersi a quel pezzo di Parlamento che non fa parte (ancora) della maggioranza per convincerlo a sorreggere il governo. Parla di lotta alla mafia per strizzare l’occhio all’ex M5S, Mario Giarrusso (che resta in bilico fino all’ultimo poi dice no). Parla di socialismo per attrarre Riccardo Nencini e il suo Psi. Usa parole di moderazione per richiamare i centristi. Parla il linguaggio liberale sperando di far scattare la scintilla negli ex Forza Italia. Per ora la strategia non paga, perché i senatori di Idea e Cambiamo, Quagliariello Gaetano, Paolo Romani e Massimo Berutti, restano sul no. Così come Azione e +Europa, sono convintamente all’opposizione. Il discorso di Conte fa breccia, invece, in Tommaso Cerno, che torna nel Pd. In Sandra Lonardo Mastella, il cui voto favorevole era già ampiamente dato per acquisita nel pallottoliere della maggioranza. Ma anche negli ex M5S Maurizio Buccarella, Luigi Di Marzo e Lello Ciampolillo. Proprio quest’ultimo, assieme a Nencini, è stato riammesso al voto dopo una sorta di ‘Var’ con i questori di Palazzo Madama. In un primo momento, infatti, la presidente Casellati li aveva esclusi, avendo chiesto di partecipare oltre la proclamazione della chiusura delle consultazioni. Le proteste della maggioranza, però, hanno costretto a rivedere il video della seduta e alla fine, essendo arrivato un minuto prima dello stop, è stato riconteggiata la sua preferenza, così come quella dell’esponente socialista: due sì per Conte. Segno di una giornata che, bene e nel male, rimarrà nella storia del Parlamento.

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