Il governo Conte bis incassa la fiducia della Camera: 343 i voti favorevoli, 263 quelli contrari. Erano stati 350 i sì raggiunti dai giallo-verdi, ma nonostante il gap di partenza con l’esecutivo precedente, il premier si dice “soddisfatto del risultato” ottenuto. Positivo anche il commento del segretario dem Nicola Zingaretti, che su Twitter parla del via libera di Montecitorio come “n altro passo in avanti per cambiare l’Italia e renderla più verde, giusta e competitiva”. In contemporanea a Zingaretti ha twittato anche il capo politico M5S, Luigi Di Maio, dando il “massimo sostegno” al premier, e spiegando che i pentastellati hanno come priorità lavoro, imprese, ambiente, scuola, famiglia e, soprattutto, “taglio parlamentari e revoca concessioni autostradali”.
Il film della giornata ha diversi ‘tempi’ e diverse ambientazioni. Sceglie la ‘mitezza’ il premier nel suo discorso del mattino, invoca il rispetto delle istituzioni e pensa a una legislatura costituente. Fuori, in piazza Montecitorio, Matteo Salvini e Giorgia Meloni ‘ballano’ su tutt’altra musica. I toni sono forti, i manifestanti – tricolore alla mano – invocano ‘elezioni, elezioni’ e denunciano la “manovra di palazzo” per “mantenere la poltrona”. Le due scene si svolgono contemporaneamente. Tanti deputati di Lega e FdI sono in piazza e questo consente a Conte di elencare le sue priorità programmatiche senza venire interrotto troppo spesso. Nel pomeriggio, invece, cambia tutto. Il premier decide di replicare punto su punto alle critiche arrivate dalle opposizioni nelle quattro ore di dibattito. Ha scrupolosamente segnato tutto, appuntato quello che ha ritenuto “offensivo”. Come l’accusa di essere “imbullonato alla poltrona” arrivata dall’ex compagno di squadra Massimo Garavaglia. Il capo del Governo ribatte riga su riga. La bagarre leghista in Aula è continua. E sono basse sugli scranni le facce dei ministri, mentre dai banchi di Pd e M5S applausi e imbarazzi si alternano. Alla fine la fiducia c’è. Conte aspetta fino all’ultimo voto. Lunga è la fila dei deputati che, durante la chiama, vogliono stringergli la mano.
Oggi la partita si sposta al Senato. I numeri sono più risicati, ma i giallorossi si dicono ottimisti. Secondo chi ha in mano il pallottoliere la maggioranza dovrebbe già contare su 168 voti certi: i 106 del M5S (tolto Gianluigi Paragone), i 50 del Pd (oggi Matteo Richetti ha annunciato che non voterà a favore), i 9 del gruppi misto (De Petris, Laforgia, Errani, Grasso, Nencini, Buccarella, De Falco, De Bonis, Nugnes) e i 3 dalle Autonomie (Bressa, Casini, Laniece). Dovrebbe raggiungere al massimo quota 139 voti l’opposizione: 61 no verranno da FI (la presidente Casellati non vota), 58 dalla Lega, 18 da FdI e uno (anche se potrebbe astenersi) da Paragone. Ci sono poi i sei senatori a vita e, secondo gli ultimi rumors, quasi certo è il sì di Liliana Segre, mentre vengono dati per probabili quelli di Mario Monti ed Elena Cattaneo. Sette poi (tra questi Emma Bonino) i senatori definiti “incerti”. Tirando una linea, quindi, il governo giallorosso può puntare a superare quota 170, e magari raggiungere i 171 sì ottenuti 15 mesi fa dai giallo-verdi. Nessuna suspense sui numeri, quindi. Almeno sulla carta. Anche la giornata di oggi, però, dovrebbe valere il prezzo del biglietto: nell’emiciclo di palazzo Madama infatti, l’uno di fronte all’altro, ci saranno Matteo Salvini e Matteo Renzi.