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“Io, vittima di stalking da tre mesi. Prima dei lividi i carabinieri ridevano”

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

“Ciao Marta, dormiamo insieme?”. Un biglietto sotto la porta di casa. Una domanda all’apparenza innocua ma che è solo l’ultima violenza da parte di uno stalker. È la storia di Marta Di Giacomo, studentessa universitaria napoletana, vittima da tre mesi delle attenzioni indesiderate di un ragazzo.

In Italia sono tre milioni e mezzo le donne che ogni anno, secondo i dati Istat del 2016, subiscono atti di stalking, il 16,1%. Il 23 febbraio 2009 è stato approvato il Decreto sicurezza, convertito nella legge 23 aprile 2009, n. 38, che ha modificato l’articolo 612 bis del codice penale introducendo il reato di atti persecutori. Ma il tema è ancora caldo.

La storia di Marta è iniziata come un niente di preoccupante, ma che nel giro di poco tempo ha portato a cambi di routine, lividi e paura. Lo racconta lei stessa, esasperata, in un lungo post su Facebook: “Una sera un ragazzo per strada mi chiede come mi chiamo e io penso sia il solito che vede una ragazza di sera da sola e ci prova, niente di preoccupante in realtà, ma il mio nome non glielo dico”.

Ma subito la situazione peggiora. Lui sa tutto di lei: “Dopo una settimana il mio nome lui lo sa, non da me, non so come, ma lo sa. La settimana dopo sa dove abito. Quella dopo ancora sa dove sto andando. Poi cosa studio, quando ho gli esami, come si chiama mia sorella, le mie amiche, quali sono i posti che frequento, come si chiama il mio ragazzo”.

E dopo le informazioni rubate, le attenzioni non gradite diventano sempre più frequenti: “Inizia ad aspettarmi sotto casa, a regalarmi i miei fiori preferiti, a farmi delle foto“. Allo stalker non basta ed è così che arriva la prestesa di un bacio e i lividi ai polsi. Marta decide di rivolgersi ai carabinieri: “Sarà solo innamorato”. Sminuiscono, non la prendono sul serio. D’altronde lui sa come mimetizzarsi, come apperire al’improvviso e coglierla di sorpresa. Spaventarla. Farle male.

Perché una sera la prende per il collo e la sbatte su una macchina, la graffia con la chiavi. Marta riesce a scappare, ad andare con amici all’ospedale e a tornare dai carabinieri con un referto in mano, Questa volta la ascoltano. Ma la paura resta. “La cosa che mi dà più angoscia è che anche se i miei amici non mi lasciano da sola ci sarà sempre un momento, un singolo momento in cui io sarò sola. Sola con lui o sola con la mia paura“. E non sono con lei quando, a casa, sente il citofono squillare cento volte e poi trova il biglietto sotto la porta.

E quando la paura diventa rabbia, Marta scrive e racconta al sua storia: “Stamattina ho deciso di scrivere tutto qui perchè fino ad ora non l’ho detto a molti, ma forse urlare per strada non è abbastanza, perchè tanto nessuno si ferma. L’ho scritto qui perchè so che almeno una volta nella vita ogni ragazza ha avuto paura e si è sentita impotente. Anche se molti pensano che noi facciamo le vittime e il sessismo non esiste, ci sono uomini che pensano di poter decidere per noi, che pensano che siamo di loro proprietà solo perchè ci hanno viste per strada e magari pensano che siamo carine”.

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