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Macron a Beirut: i libanesi gridano ‘Rivoluzione’. Anche italiana fra vittime

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

 Giunto in una Beirut devastata solo due giorni dopo l’esplosione del 4 agosto, Emmanuel Macron è stato investito da un’ondata di rabbia. “Rivoluzione”, “Il popolo vuole la caduta del regime”: questi slogan, gli stessi delle massicce proteste cominciate l’anno scorso contro l’élite al potere in Libano da decenni, li ha gridati una folla di cittadini mentre il presidente francese camminava per le strade della città per rendersi conto personalmente dei danni. Un modo, per i libanesi, per dare eco internazionale alla propria ira contro i leader del Paese. Macron lo aveva chiarito fin dall’inizio: “Non sono qui per sostenere lo Stato o il governo. Sono qui per sostenere il popolo libanese”. Dopo avere incontrato il presidente Michel Aoun e il premier Hassan Diab lo ha confermato: “Ho ascoltato la rabbia nelle strade”. Così chiede innanzitutto un’indagine indipendente e trasparente e poi riforme.

 “Questa esplosione è l’inizio di una nuova era”, dice Macron, che aspira a trasformare il disastro in un’occasione di cambiamento e per lanciare “un nuovo patto politico”. Il leader francese vuole delle riforme, tanto auspicate dai manifestanti nei mesi scorsi, e assicura che nessun aiuto francese cadrà in mani corrotte: garantisce che la priorità sono gli aiuti (e annuncia una conferenza internazionale da tenersi a giorni), ma avverte che “se le riforme non verranno fatte il Libano continuerà ad affondare”. Tornerà a Beirut il 1° settembre.

 L’immagine più potente di questa sua visita lampo resta l’abbraccio dato per strada a una donna sconvolta fra un mare di residenti arrabbiati. Per loro la gigantesca esplosione è stata solo l’ultima tessera di un mosaico di corruzione e cattiva gestione che continua a comporsi da anni: in un Paese piagato da una crisi economica aggravata dalla pandemia, sono in 300mila a essere rimasti senza casa, e nei silos del porto era conservato l’85% del grano del Paese, che è andato distrutto o è stato contaminato dai fumi tossici. In tutto questo un allarme Covid-19 giunge dal direttore generale dell’ospedale universitario Rafik Hariri, il dottor Firas Abiad: è atteso nei prossimi 10-15 giorni un aumento di casi di coronavirus, dovuto al fatto che da martedì migliaia di persone si sono precipitate negli ospedali e nei centri per donare il sangue.Il bilancio delle esplosioni continua intanto ad aggravarsi: fra le 137 vittime finora accertate c’è anche un’italiana, una donna di 92 anni che secondo fonti della Farnesina era residente nella capitale libanese. Confermata anche la morte di una dipendente dell’ambasciata tedesca. Oltre 5mila i feriti, mentre sono decine le persone che ancora

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