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Ponte Morandi a Fincantieri? “Dubbi su competenze”. E c’è il nodo della gara

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“Niente è troppo grande, niente è troppo complesso”. È lo slogan – in inglese sul sito – di Fincantieri Infrastructure, la società al 100% del gruppo della cantieristica navale italiano, a cui potrebbe essere affidata attraverso lo strumento dell’Ati – Associazione temporanea di imprese – la ricostruzione del ponte Morandi di Genova in alleanza con Autostrade per l’Italia. Nonostante il motto, con Fincantieri Infrastructure si mobiliterebbe una società molto piccola rispetto ad altri colossi tricolore. La controllata del gruppo triestino, costituita nel marzo dello scorso anno, ha portato in dote appena 42 milioni di euro di ricavi di gestione nel 2017, su oltre 5 miliardi di fatturato del gruppo. Per fare le proporzioni, Salini Impregilo ha chiuso lo scorso esercizio con 6,5 miliardi di euro di ricavi, Astaldi con un fatturato di 3,1 miliardi.

Per questo il presidente della Liguria, Giovanni Toti, sul suo profilo Facebook, spingendo per una ricostruzione firmata Renzo Piano con i soldi di Autostrade e l’opera di Fincantieri, ammette che quest’ultima potrebbe aver bisogno di “altre primarie imprese necessarie per il loro know-how”. Insomma qualcuno potrebbe vedere un favore a Fincantieri – controllata da Cdp, cui il governo ha appena cambiato i vertici – dei ministri del M5S allo Sviluppo e ai Trasporti, Luigi di Maio e Danilo Toninelli, se venisse scelta per realizzare l’opera, che necessita di una ricostruzione rapida per permettere al capolugo ligure di tornare alla viabilità normale.

Il parlamentare del Pd, Davide Faraone, fa notare già al governo che “Fincantieri è una società quotata in Borsa e che non è in house con lo Stato. Come pensa Toninelli di dare l’incarico?”. Certo anche la modalità di affidamento della commessa è una questione che potrebbe presentare criticità, sia per la quotazione in Borsa dell’azienda triestina sia per l’eventualità di dover istituire una gara europea. Fonti del Mit smentiscono che ci sarebbe alcun tipo di favore a Fincantieri e precisano che tutte le ipotesi sono ancora in campo. Le norme prevedono che il 40% dei lavori possa essere in house e quindi potenzialmente affidato all’Ati. Ma resterebbe l’altro 60% da assegnare tramite gara.

Le stesse fonti fanno sapere che, eventualmente, il governo potrebbe agire per decreto con una legge ad hoc per evitarla. “Nessuna decisione è stata ancora presa, ma è chiaro che sulla progettazione e la costruzione vogliamo una mano pubblica”, spiegano dal Mit. Un portavoce di Fincantieri precisa che “noi non ci siamo proposti, siamo stati chiamati in causa e, in caso, siamo pronti a dare un forte segnale con l’intervento di quella che è la prima azienda manifatturiera in Liguria”.

Il portavoce evidenzia inoltre che “Fincantieri sta crescendo nel settore attraverso acquisizioni mirate e ha tutto il know-how necessario per aggudicarsi la commessa, ancora di più perché si parla di un nuovo ponte in acciaio”. All’inizio di agosto il gruppo ha acquisito la Cordioli di Valeggio Sul Mincio (Verona), attiva nelle grandi opere ma ferma da due anni dopo il crac del gruppo Tosoni.

Anche l’a.d. di Fincantieri, Giuseppe Bono, ha dichiarato nei giorni scorsi che il gruppo “ha tutte le capacità e le conoscenze per costruire un’opera di questo genere”, riferendosi al ponte Morandi. Per il momento Fincantieri Infrastructure, specializzata in project management, ingegneria e costruzione, sta tirando su quattro ponti da circa 1.000 tonnellate ciascuno sul canale Albert in Belgio per conto del consorzio Thv Via T Albert, due dei quali sono in fase avanzata e due sono stati appena improntati. Saranno completati entro il 2019. Inoltre la società costruirà un ponte sul Ticino da 1.300 tonnellate.

Una eventuale scelta di Fincantieri da parte del governo potrebbe portare con sé altre polemiche dal mondo sindacale. La Fiom è tornata ieri a criticare il “modello fatto di appalti e sub appalti” adottato dal gruppo nei cantieri di Monfalcone “teso in particolare alla riduzione del costo del lavoro attraverso la riduzione dei diritti, delle retribuzioni, della salute e sicurezza dei lavoratori e dell’ambiente”. Da parte sua, Fincantieri ha risposto a tono ai metalmeccanici della Cgil, parlando di un sindacato che “non perde l’occasione per polemizzare attraverso fantomatiche situazioni di inadempienze”.

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