La Lombardia entra in zona arancione rinforzata. Le scuole di ogni ordine e grado chiudono e i ragazzi tornano nel girone della didattica a distanza. Tra dirigenti scolastici e docenti delle scuole superiori, dove sono iscritti oltre 380mila studenti tra licei, professionali e istituti tecnici, c’è soprattutto sconforto dopo un anno passato tra aperture e chiusure a singhiozzo e preoccupazioni per i “loro ragazzi”.
Nelle parole di Domenico Squillace, dirigente scolastico del Liceo Scientifico Statale Alessandro Volta di Milano, che conta oltre 1.200 iscritti c’è anche un tratto di rabbia: “Questa invenzione dell’arancione rafforzato è di fatto una zona arancione con le scuole chiuse o una zona rossa con i negozi aperti: alla fine ci rimettono solo i ragazzi – spiega a LaPresse -. Sono molto arrabbiato: questo continuo tira e molla, senza capacità di prendere anche una decisone seria e severa, dura, anche chiudere sei mesi, non ha senso”, aggiunge il preside che non comprende però “l’urgenza di chiudere già oggi: la ministra Gelmini aveva detto che era finito il tempo delle chiusure comunicate poche ore prima e che avrebbero comunicato per tempo e invece…”.
Nel suo istituto, uno dei più numerosi nel centro di Milano, non si può certo parlare di focolaio: “il primo contagio qui è stato il 16 febbraio e siamo a 9 casi, eppure la variante inglese dovrebbe colpire i ragazzi, forse la nostra scuola è stata fortunata”. “La verità – conclude – è che la formazione dei ragazzi non importa a nessuno e la scuola è l’unica cosa che puoi chiudere ‘gratis’ “.
Di grande diffusione di covid e delle sue varianti nelle classi non si può parlare neppure al liceo classico Giosuè Carducci, a pochi passi dalla stazione centrale di Milano: “si pensa che la scuola ora sia il focolaio massimo del contagio, ma su 1.100 studenti e 47 classi da gennaio ne abbiamo messe in quarantena 4, con un caso per ogni classe”, ha spiegato il ds Andrea Di Mario che è però meno critico sulla chiusura. “La pandemia va fermata, lo dico anche agli scontenti. C’è sconforto e dobbiamo resistere: è la nostra Stalingrado”. Ma ne è certo: “si vince”