Grande affidabilità, costi ridotti e nuove tecnologie. È questa la ricetta che ha portato al successo del lancio della Crew Dragon, la capsula prodotta dalla Space X del magnate americano e patron di Tesla Elon Musk. Un’impresa senza precedenti che ha aperto la via della Space Economy anche ai privati. E che, come spiega Andrea Sommariva, direttore di See Lab della SDA Bocconi, l’osservatorio dell’ateneo milanese sulla Space Economy, “è storica perché finalmente la NASA ha trovato il modo di portare astronauti sulla stazione spaziale internazionale a costi inferiori rispetto ai russi. Il costo per astronauta del lancio della Sape X è di 60 milioni per astronauta, mentre i russi finora facevano pagare 90 milioni per lo stesso servizio”.
Il successo del lancio della capsula Space X viene da lontano. “E’ il culmine di un processo iniziato nel 2007, quando la NASA ha deciso di rompere il monopolio nel settore dei lanciatori e aprire il settore dello spazio a nuove società come Space X e altri competitor”, spiega Sommariva . “La seconda mossa della NASA è stata quella di cambiare il tipo di contratti che aveva con i lanciatori – aggiunge il direttore di See Lab – . Mentre fino al 2007-2008 la NASA riconosceva un premio di compensazione se si sforavano i costi stabiliti all’inizio, garantendo il profitto in ogni caso ai monopolisti, adesso la NASA fa dei contratti che sono basati sul costo e non c’è più nessun premio. Se la società sfora i costi, sono problemi della società. Questo ha dato un grosso incentivo alle società del settore a rivoluzionare la tecnica di lancio e i vari passaggi, incluso quello della fase di recupero dello stadio planare del razzo . Sono anche state introdotte moltissime innovazioni tecniche: Il motore di Space X è fatto con 3D printing che riduce moltissimo i costi. Dopo 12 anni che il razzo di Space X non ha avuto incidenti significativi, è ‘affidabile’ e ha costi relativamente bassi. Per lanciare satelliti ha più che dimezzato i costi che c’erano in precedenza. Mentre prima un Atlas della Boeing costava 26 mila dollari al chilo di prodotti lanciati nello spazio, adesso siamo a circa 9 mila dollari al chilo”.
L’impresa ha tracciato una nuova rotta, che Paesi come Russia, Cina e India sono destinate a seguire. “Space X produce i propri razzi interamente in California – sottolinea Sommariva – e ha iniziato questa competizione che la NASA ha accettato rompendo i monopoli sul mercato americano e questo sta rivoluzionando tutto il mondo, perché la competizione si estende alla Cina, all’Europa. E anche da noi dobbiamo trovare delle maniere per restare competitivi sul mercato”.
L’Europa “è indietro rispetto agli americani” anche se nel Vecchio Continente ci sono aziende ad altissimo contenuto tecnologico e di grande valore strategico. Italia, ad esempio, “c’è tutta la filiera dello spazio – spiega Sommariva – . abbiamo Avio che fa dei lanciatori piccoli e medi, abbiamo imprese come Tales che fa i satelliti, abbiamo il gruppo pugliese Sitel che fa piccoli satelliti molto avanzati, ci sono società specializzate in prodotti e servizi per il comparto dello spazio. In Italia abbiamo l’intera filiera, l’upstream e il downstream, con imprese molto forti nell’ambito dell’esportazione dei loro prodotti. Il problema dell’Europa, però, è che abbiamo dei mercati dello spazio estremamente frammentati. A causa delle politiche della Difesa europea, ci sono ancora degli impedimenti istituzionali ad avere un mercato unificato e questo è uno svantaggio nei confronti degli americani e dei cinesi che hanno un mercato domestico estremamente ampio, che noi potremmo avere in Europa se potessimo eliminare queste barriere istituzionali. In questo modo potremmo competere molto meglio”.
Anche per la Space Economy, però, il “2020 sarà un anno di pausa, anche se lo spazio sarà meno influenzato di altri settori – sottolinea Sommariva – . Chiaramente la crisi la vivrà anche lo spazio, ma in maniera più limitata rispetto ad altri settori, come il turismo, che ci metteranno parecchio tempo a riprendersi. E questo è quello che preoccupa. Se ci sono imprese che scompaiono, aiutarle a rinascere e riportarle ai livelli pre crisi richiederà molto tempo – conclude il direttore di See Lab – : per questo non credo che l’economia italiana vedrà un rimbalzo, come avviene dopo uno tsunami o un terremoto, ma la ripresa in questo caso sarà più lenta”.