Storia dei Mondiali 1970-1982: partite, avvenimenti, protagonisti e curiosità sui Campionati del Mondo! Ripercorriamo insieme le tappe che hanno scandito momenti indimenticabili per i tifosi di tutti i Paesi!
Storia dei Mondiali 1970-1982: albo d’oro, protagonisti e curiosità!
Storia dei Mondiali 1970-1982. Proseguiamo con la nostra marcia di avvicinamento a Qatar 2022 facendo un passo indietro, e ripercorrendo insieme gli eventi e i protagonisti che hanno fatto grande la storia dei Mondiali nel tempo. Una storia che è la stessa dei popoli e delle nazioni partecipanti, che nelle selezioni calcistiche hanno sempre espresso il proprio modo di essere. Tanti dei campioni che hanno sollevato la coppa sono stati un vero e proprio simbolo, non solo per i tifosi ma anche per la società e il tempo nel quale sono vissuti. Proseguiamo il nostro racconto con la Storia dei Mondiali 1970-1982.
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Storia dei Mondiali 1970-1982: albo d’oro, protagonisti e curiosità!
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Messico 1970: la partita del secolo e la squadra più bella di sempre
Storia dei Mondiali 1970-1982. Molte erano le formazioni date per favorite alla vigilia del Mundial messicano del 1970: il fortissimo Brasile, l’Inghilterra campione uscente e ancora più temibile rispetto a quattro anni prima, l’intramontabile Germania Ovest, l’Italia campione europea in carica, il coriaceo Uruguay e l’Unione Sovietica, ormai da anni ai vertici del calcio mondiale. Da segnalare per la nuova edizione della rassegna iridata alcune importanti innovazioni: fu il primo torneo in cui vennero ammesse due sostituzioni a partita anche per giocatori di movimento (e non solo per il portiere), e il primo in cui furono utilizzati i cartellini rossi e gialli per rendere più chiare le decisioni dell’arbitro (idea di Aston, l’arbitro della “battaglia di Santiago” del 1962).
Moore in carcere!
Giunsero alle semifinali tre formazioni che avevano già vinto la Coppa Rimet due volte: in caso di terza vittoria avrebbero definitivamente conservato il trofeo. Faceva paura in particolar modo l’Inghilterra, che infatti fu vittima di un assurdo caso di boicottaggio nei giorni precedenti al Mondiale: Bobby Moore fu addirittura accusato di furto di un bracciale d’oro da una commessa di una gioielleria di Bogotà, e fu clamorosamente arrestato. Prima della gara d’esordio degli inglesi, il capitano venne poi completamente scagionato e rilasciato.
La partita del secolo
L’evento più noto relativo all’edizione del ’70 fu senz’altro la semifinale tra Italia e Germania, definita “el partido del siglo” da una targa che ancora oggi campeggia allo stadio Azteca di Città del Messico. L’Italia di Valcareggi, forte di grandi campioni come Mazzola, Rivera, Riva, Boninsegna, Facchetti, Rosato e Domenghini, affrontò i tedeschi in una partita combattutissima e dai continui ribaltamenti di fronte, che fece trepidare per una notte tutti gli italiani grazie alla diretta via satellite.
Praticamente tutto il Paese ascoltò dalle parole di Nando Martellini (che aveva sostituito Nicolò Carosio in seguito a un infelice epiteto rivolto da questi a un guardalinee etiope) la straordinaria altalena di emozioni culminata negli ultimi minuti dei supplementari con il gol decisivo di Rivera. Era l’Italia dell’improvviso forfait di Anastasi, dell’esclusione a sorpresa di Lodetti, della staffetta Mazzola-Rivera, tanto efficace quanto nata per caso in seguito a un’indisposizione di Mazzola prima della gara contro il Messico.
LA FINALE
Brasile-Italia venne disputata il 21 giugno 1970 allo stadio Azteca di Città del Messico, davanti a circa 108.000 spettatori. L’Italia si presentò ovviamente stanca dopo i 120′ di fuoco giocati contro la Germania Ovest, e si trovò di fronte un Brasile stellare che viene a tutt’oggi ricordato come la squadra più spettacolare di sempre. Era il Brasile del “Caliz”, ovvero del calice, come faceva pensare la disposizione dei giocatori in campo. Quattro difensori in linea (con i classici terzini bravi nella spinta), un unico frangiflutti davanti alla difesa (Clodoaldo, che avrebbe potuto fare il trequartista in qualunque altra squadra), e poi la magia dei cinque “numeri 10” a giostrare davanti. Jairzinho a destra, Rivelino a sinistra, Gerson a ispirare, Tostao centravanti e infine Pelé, nella piena maturità, senza una posizione fissa, sublime sia nel suggerimento sia nel concludere l’azione.
Cinque geni assoluti che si muovevano in sincronia perfetta, e rendevano ininfluente l’evidente squilibrio offensivo della squadra. Tecnico di quella formazione era Mario Zagallo, già campione del mondo nel ’58 e nel ’62 con la maglia verdeoro, chiamato a sostituire Joao Saldanha. L’Italia resistette un tempo, poi nulla poté contro lo strapotere brasiliano: la Coppa Rimet aveva trovato un padrone definitivo.
BRASILE-ITALIA 4-1 (18′ Pelé, 66′ Gerson, 71′ Jairzinho, 86′ Carlos Alberto – 37′ Boninsegna)
CAPOCANNONIERE: il tedesco Gerd Muller (10 reti), uno dei più prolifici attaccanti della storia del calcio. Senso del gol quasi inspiegabile, opportunismo fuori dal comune e capacità innata di evitare la marcatura avversaria per poi palesarsi al momento giusto e buttarla dentro. Poca tecnica, poca classe, quasi goffo, ma capace di segnare in qualsiasi maniera. 366 gol in 427 partite di Bundesliga con la maglia del Bayern Monaco, 68 in 62 gare in Nazionale: i numeri parlano decisamente da soli.
LA STELLA: già detto di Pelé, citiamo Jairzinho, che in Messico toccò vette di bravura incredibili. Centravanti arretrato del Botafogo, Zagallo lo schierò a destra, dove poteva mettere in mostra scatto bruciante, dribbling funambolico e tiro al fulmicotone. Diventò così il miglior marcatore della squadra e il primo e unico campione del mondo a segnare in tutte le partite di un fase finale.
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Storia dei Mondiali 1970-1982: albo d’oro, protagonisti e curiosità!
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Germania Ovest 1974: il Mondiale più blindato incorona i panzer contro il calcio totale olandese
Storia dei Mondiali 1970-1982. L’edizione del 1974 fu alquanto delicata, soprattutto per le tensioni sociali e politiche che stavano scuotendo in quegli anni tutto il mondo, ma in particolar modo l’Europa e ancor più nel dettaglio la Germania. La contrapposizione tra blocco occidentale e blocco sovietico aveva raggiunto il culmine, e il clima da Guerra Fredda condizionava ormai concretamente la vita delle popolazioni.
Mondiale blindato
In Germania erano gli anni dei gruppi terroristici e della RAF (più nota come banda Baader-Meinhof), e risaliva a soltanto due anni prima il massacro dei giochi olimpici di Monaco di Baviera. L’Unione Sovietica aveva rifiutato di recarsi in Cile (dove il potere era stato preso da Pinochet) per disputare lo spareggio di qualificazione. Insomma, un clima di paura e forti contrasti, e un Mondiale letteralmente blindato da esercito e polizia.
Il sorteggio poi non aiutò, divertendosi a inserire Germania Ovest e Germania Est nello stesso girone. L’incontro fu l’unico ufficiale tra le due formazioni (se si eccettua la gara olimpica di due anni prima nella quale, però, furono schierati giovani e dilettanti), e si concluse con la storica quanto inaspettata vittoria della DDR. Jurgen Sparwasser, autore del gol decisivo, divenne così un vero e proprio simbolo del regime, prima di passare clandestinamente aldilà del muro nel 1988.
Storico cambio al timone
Fu un’edizione delicata anche per un motivo più strettamente legato al mondo del calcio: alla vigilia del campionato del mondo era stato infatti eletto presidente della Fifa il brasiliano Joao Havelange, rappresentante e sostenitore del cosiddetto “terzo mondo calcistico”, che puntava in maniera decisa a rompere il dominio europeo sul calcio.
Il torneo si era in qualche modo rinnovato: dopo l’assegnazione definitiva della Coppa Rimet al Brasile, la Fifa aveva indetto un concorso per la realizzazione del nuovo trofeo, concorso vinto dall’italiano Silvio Gazzaniga. Nacque così la nuova Coppa del Mondo Fifa, il trofeo così come lo conosciamo oggi. Quello del 1974 fu anche il primo campionato mondiale miliardario e nel quale fecero il proprio prepotente ingresso gli sponsor tecnici, e segnò l’inizio di una nuova fase nella quale i ricavi ricopriranno un ruolo sempre più rilevante.
Flop azzurro e conferma orange
L’Italia, dopo il secondo posto nel ’70 e una serie di vittorie prestigiose nel ’73 (tra cui quelle in amichevole sul Brasile e sull’Inghilterra a Wembley con gol di Capello) si presentò da grande favorita insieme ai padroni di casa e al Brasile, ma uscì senza gloria al primo turno, e tutto ciò che rimase di quell’esperienza azzurra furono le bizze di Chinaglia.
Vera protagonista fu invece l’Olanda di Rinus Michels e Johan Cruijff, portabandiera del calcio totale, sulla scia della grande Ajax che aveva vinto tre Coppe dei Campioni consecutive dal ’71 al ’73. Veloce, spettacolare e terribilmente concreta, con una concezione tattica nuova che superava la rigida divisione dei ruoli e prevedeva la partecipazione di tutti i giocatori alle varie fasi di gioco in ogni suo aspetto. Una squadra da sogno, che arrivò facilmente in finale contro gli ostici padroni di casa.
LA FINALE
Olanda-Germania Ovest fu disputata il 7 luglio 1974 all’Olympiastadion di Monaco di Baviera, davanti a circa 80.000 spettatori. Sarebbe potuto essere un trionfo orange, e infatti nella prima parte di gara gli autori del calcio totale diedero l’impressione di poter stravincere. Il primo minuto e 18 secondi di partita i tedeschi non la presero mai, fino a quando Cruijff non decise improvvisamente di andare a far gol e venne steso in area. Dopo l’1-1, però, gli olandesi commisero l’errore di giocare al gatto col topo e non finire gli avversari quando avrebbero dovuto. Sbaglio madornale, soprattutto quando si parla di Germania. Forti della loro lucidità e della loro straordinaria forza d’animo, i teutonici si ripresero e pian piano inaridirono le fonti di gioco olandesi. Si portarono sul 2-1 e condussero in porto con merito una gara che li vedeva sfavoriti alla vigilia.
OLANDA-GERMANIA OVEST 1-2 (2′ rig. Neeskens – 25′ rig. Breitner, 43′ Muller)
CAPOCANNONIERE: il polacco Grzegorz Lato (7 reti), attaccante dell’ottima Polonia piazzatasi terza dopo aver già conquistato la medaglia d’oro olimpica due anni prima. Simbolo dello Stal Mielec, giocò anche nel Lokeren e in Messico con l’Atlante.
LA STELLA: Franz Beckenbauer, detto il “Kaiser” non soltanto per le innate doti di leadership, ma anche a causa della forte somiglianza con Ludwig II di Baviera. Giocatore universale, grande mediano prima e sontuoso libero d’impostazione poi. Semplicemente, la Germania Ovest era lui. Trascinò i compagni alla finale del ’66, alla semifinale nel ’70 e a un successo tanto difficile quanto meritato nel ’74. In patria scrisse la storia del Bayern Monaco (cinque campionati e tre Coppe dei Campioni), da allenatore rimpolpò il suo palmares con il secondo posto a Messico ’86 e il successo a Italia ’90.
Di solito in questa sezione si parla del calciatore più rappresentativo della squadra vincitrice, ma facciamo volentieri uno strappo alla regola e citiamo anche Johan Cruijff, vincitore morale di quel Mondiale. Fuoriclasse a tutto campo, mise in mostra un modo di giocare al calcio che nessuno aveva mai visto prima. Rapido e leggero, con una tecnica fuori dal comune. Efficace come forse soltanto Pelé era stato prima. Legò il suo nome a quello della grande Ajax, poi passò al Barcellona nel ’73. Tra i successi, dieci campionati nazionali tra Olanda e Spagna e tre Coppe dei Campioni. Per lui 33 reti in 48 partite con la maglia della nazionale, prima di mietere altri successi da allenatore.
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Storia dei Mondiali 1970-1982: albo d’oro, protagonisti e curiosità!
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Argentina 1978: prima volta albiceleste tra favoritismi e contestazioni
Storia dei Mondiali 1970-1982. Altrettanto tesi furono i Mondiali che si disputarono quattro anni dopo in Argentina, a causa del clima di oppressione politica generato del regime militare che aveva preso il potere nel 1976. La giunta al potere con a capo il generale Jorge Videla sfruttò ovviamente la competizione a fini propagandistici per rafforzare la propria autorità. L’Argentina era ormai da anni la grande delusa in sede di assegnazione del Mondiale: nelle ultime occasioni se lo era visto sfuggire prima in favore del Cile e poi del Messico, ma finalmente aveva ottenuto l’organizzazione del Mondiale 1978. Il clima di repressione, torture e uccisioni portò a molte contestazioni e tentativi di boicottaggio, ma il regime riuscì a portare a termine l’allestimento nei tempi previsti. Durante il torneo il Paese pullulava di militari e poliziotti armati, al fine di zittire ogni eventuale voce dissidente.
La “marmelada peruana”
I padroni di casa beneficiarono effettivamente di aiuti arbitrali e di vario genere. La squadra più pericolosa, vale a dire l’Olanda, non poté schierare Cruijff, che a sorpresa rinunciò al Mondiale dopo aver trascinato i suoi nelle qualificazioni. Secondo alcune voci, l’olandese avrebbe ricevuto indicazioni minacciose che gli sconsigliavano la partecipazione alla competizione. Clamoroso fu poi l’episodio dell’incontro con il Perù (già eliminato), decisivo per le sorti dei padroni di casa, ai quali sarebbero serviti almeno 4 gol di scarto per superare il Brasile e arrivare in finale. Il Perù era squadra vera, ma si lasciò dominare e fu sconfitto 6-0. Sotto accusa soprattutto il portiere Quiroga, di origine argentina e con i parenti che vivevano a Rosario. Pare che anni dopo lo stesso portiere, insieme ad altri testimoni, avesse confessato la combine, ma ovviamente non esistono riscontri ufficiali.
Italia rivelazione
L’Italia di Bearzot si impose a sorpresa come la miglior squadra del Mondiale, togliendosi addirittura lo sfizio di dominare l’Argentina nei gironi. Il sogno venne però spezzato nella gara decisiva per la finale contro l’Olanda, a causa di due tiri da lontano che colsero di sorpresa Zoff ridimensionato da una spalla dolorante. Erano comunque state gettate le basi per il trionfo di quattro anni più tardi.
LA FINALE
Pur orfana di Cruijff, l’Olanda arrivò in finale contro i padroni di casa di Luis Menotti. La gara venne disputata il 25 giugno 1978 al Monumental di Buenos Aires, davanti a circa 80.000 spettatori caldissimi. Il clima era davvero caldissimo. Arbitrava l’italiano Gonella, che si rivelò estremamente permissivo nei confronti del gioco violento argentino. Alcune azioni pericolose degli olandesi vennero inoltre interrotte per dubbio fuorigioco. Alla fine, come da copione, gli argentini ebbero la meglio, anche se il trionfo fu offuscato dai palesi favoritismi goduti. Si distinse solamente la classe di Passarella e Kempes, i cui colpi si rivelarono decisivi.
ARGENTINA-OLANDA 3-1 dts (38′, 105′ Kempes, 116′ Bertoni – 82′ Nanninga)
CAPOCANNONIERE: l’argentino Mario Kempes (6 reti), trascinatore assoluto della formazione albiceleste. Menotti lo convocò facendo eccezione al suo ostracismo per i calciatori che militavano in campionati europei. Schierato punta pura non si sbloccò, poi venne arretrato e si scatenò, distinguendosi come uno dei migliori giocatori in un’edizione povera di stelle. Esploso nel Rosario Central, venne poi ingaggiato dal Valencia, con cui vinse due titoli di “pichichi” di fila.
LA STELLA: Daniel Passarella, capitano dell’Argentina e uno dei migliori centrali difensivi della tradizione sudamericana. Personalità debordante, grinta da guerriero, eccellente nella costruzione e nel senso del gol. Faro assoluto della nazionale albiceleste e del River Plate, gli appassionati italiani ebbero la fortuna di ammirarlo con le maglie di Fiorentina e Inter.
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Storia dei Mondiali 1970-1982: albo d’oro, protagonisti e curiosità!
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Spagna 1982: il “vecio” Bearzot è il condottiero della grande Italia Mundial!
Storia dei Mondiali 1970-1982. L’edizione spagnola del 1982 salutò il ritorno di un clima piuttosto disteso, se si eccettuava la guerra in corso tra argentini e inglesi per il possesso delle isole Falkland. Fu il primo Mondiale al quale parteciparono tutti e cinque i continenti e tutte e sei le federazioni, con il passaggio da 16 a 24 finaliste. Si concretizzava così la svolta “anti-eurocentrica” voluta da Havelange.
Strafavorito era il Brasile di Falcao, Socrates e Zico, una formazione stellare che durante la prima fase aveva incantato tutti gli addetti ai lavori. C’erano poi l’Argentina detentrice, che rispetto a quattro anni prima poteva contare su un Maradona in più, e l’inossidabile Germania Ovest.
Un crescendo di emozioni
L’Italia partì malissimo, con un gioco sofferto e la guerra continua con giornalisti e Federcalcio. Le cose proprio non sembravano funzionare, a partire da Paolo Rossi che pareva un vero corpo estraneo. La manovra della squadra era stata concepita con il naturale sbocco dei colpi di testa di Bettega, ma dopo l’infortunio di quest’ultimo ci si affidò appunto a Rossi, reduce da due anni di inattività dopo la squalifica causa scandalo scommesse. Appena superata, quasi per caso, la prima fase, scattò poi il silenzio-stampa da parte dei giocatori, irritati dalle feroci ed eccessive critiche subite dalla stampa in patria. Il solo Zoff fu autorizzato a rilasciare dichiarazioni.
Bearzot fu un maestro nel gestire una situazione così delicata, e riuscì a incanalare in maniera positiva la rabbia dei calciatori. Il gruppo si cementò ancora di più, e la determinazione crebbe. Nell’isolamento gli azzurri trovarono la concentrazione giusta e si trasformarono: Paolo Rossi risorse improvvisamente, e a grande sorpresa i nostri si qualificarono per la semifinale con due vittorie capolavoro contro Argentina (2-1) e Brasile (3-2). Dopo il successo contro la Polonia di Boniek, la selezione azzurra si trovò davanti il solito ostacolo tedesco.
LA FINALE
Italia-Germania Ovest venne disputata il giorno 11 luglio 1982 al Santiago Bernabeu di Madrid, davanti a circa 90.000 spettatori. A causa dell’infortunio di Antognoni, Bearzot rafforzò la difesa e fece appello alla sua celebre “zona mista”, cioè un saggio connubio tra marcatura a uomo e gestione degli spazi. Cabrini fallì un rigore e il primo tempo terminò sul risultato di 0-0, ma ormai quell’Italia era inarrestabile, e anche i tedeschi dovettero inchinarsi nella ripresa. La zampata di Rossi, l’indimenticabile urlo di Tardelli e il gol della sicurezza di Altobelli regalarono a Bearzot e a Sandro Pertini la gioia di sollevare la Coppa del Mondo. Era il terzo trionfo azzurro, per il quarto bisognerà attendere 24 anni fino alla magica notte di Berlino.
ITALIA-GERMANIA OVEST 3-1 (58′ Rossi, 69′ Tardelli, 80′ Altobelli – 83′ Breitner)
CAPOCANNONIERE: Paolo Rossi (6 reti), decisamente la scheggia impazzita dell’Italia. Era stata ottima la sua prestazione al Mondiale di quattro anni prima, ma nel 1982, come detto, è reduce da due anni di inattività ed è visibilmente contratto. Nella prima fase è inguardabile, ma Bearzot ha la lungimiranza di credere ciecamente in lui, e il resto è storia. Gli anni migliori con L.R. Vicenza e Juventus, con i bianconeri vince due scudetti, una Coppa Italia e una Coppa dei Campioni.
LA STELLA: Dino Zoff, il grande vecchio del Mondiale, Campione del Mondo a quarant’anni suonati. Era stato dato già sul viale del tramonto nel 1978, ma in Spagna ottenne il grande riscatto. Parate decisive sulla strada della Coppa, su tutte quella all’ultimo minuto contro il Brasile su colpo di testa di Isidoro. Uno dei giocatori più decisivi della storia italiana.
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Storia dei Mondiali 1954-1966: albo d’oro, protagonisti e curiosità!
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