Sono 51 le persone denunciate dalla guardia di finanza di Torino e Asti, nel corso delle indagini sul fallimento delle società facenti capo a Marco Marenco, ‘re del gas’ ed ex patron dello storico e prestigioso marchio di cappelli Borsalino. Gli indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di bancarotta fraudolenta, secondo la guardia di finanza, seconda in Italia solo a quella di Parmalat, ai danni di 12 aziende del gruppo, operanti nei settori dell’import-export di gas naturale e della produzione di energia elettrica. Nel corso dell’inchiesta sono stati anche sequestrati beni in via preventiva per un valore complessivo di 107 milioni di euro. Sono stati notificati gli avvisi di conclusione delle indagini, che hanno messo in luce un crac societario di oltre 4 miliardi di euro, nonché condotte distrattive per circa 1 miliardo e 130 milioni di euro. I provvedimenti sono giunti al termine di indagini condotte dai nuclei di polizia economico-finanziaria di Torino e di Asti e coordinate dal procuratore di Asti, Alberto Perduca, e dal pubblico ninistero Luciano Tarditi.
In particolare i reati ipotizzati nei confronti degli indagati sono di tipo tributario (dichiarazione fiscale infedele, omesso versamento delle imposte, sottrazione al pagamento delle accise), truffa aggravata, appropriazione indebita, false comunicazioni sociali e bancarotta fraudolenta aggravata. Quest’ultimo reato, secondo gli accertamenti dei finanzieri, è stato commesso con l’unico scopo di distrarre e occultare somme, partecipazioni e beni aziendali in favore di imprese costituenti un mero schermo dell’imprenditore astigiano, spostando, in tal modo, tutte le attività significative a livello patrimoniale sotto il suo diretto e personale controllo. Le indagini hanno evidenziato che il denaro, le partecipazioni e i beni sottratti venivano impiegati in operazioni infragruppo e successivamente trasferiti all’estero, con compravendite fittizie. Le attività imprenditoriali esercitate dalle società nel frattempo indebitate o fallite venivano proseguite da nuove aziende, appositamente costituite e intestate ad amministratori e manager vicini all’imprenditore. Queste ultime, definite ‘scialuppe di salvataggio’, erano a loro volta controllate da numerose società estere che, come scatole cinesi, componevano il complesso sistema di frode.L’attività investigativa ha consentito di scoprire una ‘galassia’ costituita da almeno 190 società, in territorio nazionale ed estero, legate da complesse catene partecipative, talvolta schermate mediante l’interposizione di aziende offshore situate in paradisi fiscali.
Per ricostruire le condotte distrattive e individuare le numerose società estere coinvolte è stato necessario, precisa la guardia di finanza, l’utilizzo di diversi strumenti di indagine, fra l’attività di cooperazione internazionale, attivata anche per il tramite del II reparto del comando generale della guardia di finanza, con numerosi Paesi esteri, comprese le Isole Vergini Britanniche, l’Isola di Man, Panama, Malta, Cipro, Liechtenstein e Lussemburgo. Nel corso delle attività investigative è anche emerso che alcuni dei responsabili, al fine di eludere le indagini, utilizzavano dispositivi telefonici criptati e si avvalevano della collaborazione di pubblici ufficiali (anch’essi individuati e a vario titolo indagati per corruzione, favoreggiamento e accesso abusivo a sistemi informatici) che garantivano a Marco Marenco e ai propri familiari servizi di sicurezza, oltreché il reperimento di notizie circa lo stato delle indagini.