“L’occupazione atipica al primo lavoro è diffusa anche per titoli di studio secondari superiori o universitari e cresce all’aumentare del titolo di studio, essendo pari al 21,2% per chi ha concluso la scuola dell’obbligo e al 35,4% per chi ha conseguito un titolo di studio universitario”. Lo ha spiegato il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, nel corso di un’audizione alla commissione Affari costituzionali della Camera. Oltre alla precarietà dell’impiego, anche “il basso tasso di occupazione dei 25-34enni (60,3% nella media del 2016), costituisce una grande debolezza per il presente e il futuro di queste generazioni che rischiano di non avere una storia contributiva adeguata”, ha aggiunto Alleva: “Ciò si rifletterà su importi pensionistici proporzionalmente più bassi rispetto a carriere lavorative regolari, cioè con salari adeguati e continuità nel versamento dei contributi”.
Lo scarso impiego dei giovani nel mondo del lavoro ha come conseguenza anche “una grave situazione di sottoutilizzo di un segmento di popolazione ad elevato impatto potenziale sullo sviluppo economico del Paese: il livello medio di istruzione di questa coorte di ‘prima entrata’ è, infatti, decisamente più elevato rispetto all’analoga coorte ‘prossima all’uscita’ dei 55-64enni (l’incidenza dei laureati è del 25,6% tra i primi contro il 12,4”, ha sottolineato il presidente dell’Istat.
MENO 7 MILIONI NEL 2065. “Sulla base delle più recenti previsioni demografiche, nello scenario di previsione ‘mediano’, la popolazione residente è stimata in lieve diminuzione nel prossimo decennio: da 60,7 milioni (al 1° gennaio 2016) a 60,4 milioni nel 2025. In una prospettiva di medio termine, la diminuzione della popolazione risulterebbe più accentuata: da 60,4 milioni a 58,6 milioni tra il 2025 e il 2045. È nel lungo termine, tuttavia, che le conseguenze della dinamica demografica si faranno più importanti. Tra il 2045 e il 2065, infatti, la popolazione si ridurrebbe di ulteriori 4,9 milioni. Nel 2065 la popolazione ammonterebbe dunque a 53,7 milioni, conseguendo una perdita complessiva di 7 milioni di residenti rispetto al 2016”.
“Da un lato – ha spiegato il presidente di Istat parlando alla commissione Affari costituzionali – si assisterà a una progressiva riduzione della numerosità delle coorti di donne in età feconda (14-50 anni, anche se con fecondità prevista in aumento); dall’altro, a una crescita delle coorti di popolazione in età anziana (65 anni e più), grazie alle positive condizioni di sopravvivenza (86,1 e 90,2 anni, rispettivamente, la vita media maschile e femminile prevista nel 2065, rispetto agli 80,8 e 85,4 dell’anno base)”. “Queste tendenze saranno alla base del protrarsi di una situazione di saldo naturale (nascite meno decessi) negativo che tenderà ad assumere dimensioni sempre più rilevanti. In termini relativi, il tasso di decrescita naturale passerebbe dal -2,2 per mille nell’anno base al -7,4 per mille nel 2055, anno dopo il quale si stabilizzerebbe”, ha sottolineato.
GIOVANI E MADRI ATIPICI. “La quota di lavoratori temporanei, già in partenza più consistente fra i giovani, aumenta dal 1997. In particolare, tra il 2008 e il 2016, nella classe 15-34 anni, la quota di dipendenti a termine e collaboratori aumenta di 5,6 punti, dal 22,2% al 27,8%”. Intervenendo a proposito delle proposte di legge per assicurare l’equità nei trattamenti previdenziali e assistenziali, Alleva ha sottolineato che “tra i giovani si osserva una elevata incidenza di forme lavoro precario (dipendenti a termine e collaboratori), con la conseguenza di rendere più sfumata la distinzione tra periodi di occupazione atipica e disoccupazione”.
“Il lavoro atipico è più diffuso tra i giovani di 15-34 anni, tra i quali circa un occupato su quattro svolge un lavoro a termine o una collaborazione (quasi una su tre per le donne) – ha dichiarato il presidente dell’Istat -. Questa forma di lavoro riguarda tuttavia anche gli adulti e i soggetti con responsabilità familiari: nel 2016 un terzo degli atipici ha tra 35 e 49 anni, con un’incidenza sul totale degli occupati dell’8,9%; tra le donne il 41,5% delle occupate con lavoro atipico è madre”.
IN PENSIONE A 70 ANNI. “Sulla base degli scenari demografici” elaborati dall’Istat “è possibile delineare la futura traiettoria dei requisiti di accesso al pensionamento. Dai 66 anni e 7 mesi, in vigore per tutte le categorie di lavoratori dal 2018, si passerebbe a 67 anni a partire dal 2019, quindi a 67 anni e 3 mesi dal 2021. Per i successivi aggiornamenti, a partire da quello nel 2023, si prevede un incremento di due mesi ogni volta. Con la conseguenza che l’età pensionabile salirebbe a 68 anni e 1 mese dal 2031, a 68 anni e 11 mesi dal 2041 e a 69 anni e 9 mesi dal 2051”.
Il presidente dell’Istat ha ricordato che “dal 1975 al 2015 il numero delle pensioni è passato da poco più di 16 milioni a 23,1 milioni. Il trend è stato di crescita pressoché costante fino al 2009, anno dopo il quale il numero delle pensioni ha iniziato a diminuire”. “Nel complesso – ha spiegato – nel 2015 sono state erogate 741 mila pensioni in meno che nel 2009 (-3,1%). Andamento analogo si riscontra per i pensionati: nel 2015 sono quasi 16,2 milioni, 550 mila in meno del 2009 (-3,3%)”.