Se un tartufo è tassato al 5%, come un bene di prima necessità, perchè gli assorbenti devono avere un’aliquota del 22%, esattamente con un gioiello? La battaglia delle donne per ridurre le differenze di genere passa anche da qui. Petizioni, iniziative commerciali, interventi di singoli comuni, promesse politiche: a oggi il taglio dell’Iva sugli assorbenti è fermo al palo. E se, nel 2020, la Camera aveva approvato un emendamento al decreto fiscale per abbassare la cosiddetta ‘tampon tax’ solo per gli assorbenti biodegradabili e compostabili, neanche l’impatto che il Covid ha avuto soprattutto sulle donne, in termini di perdita di lavoro, ha fatto sì che il Parlamento inserisse nella legge di bilancio un articolo in più per abbassare definitivamente l’aliquota.
In Europa Paesi come la Francia, il Belgio, l’Olanda hanno ridotto la tassazione; altri come Canada, Irlanda e India l’hanno abolita del tutto, mentre la Scozia ha deciso che fornirà gratis gli assorbenti alle sue studentesse. E in Italia? In Italia la petizione ‘Stop tampon tax, il ciclo non è un lusso’, lanciata nel 2018 dal collettivo ‘Onde rosa’, per portare la tassazione al 4%, ha raggiunto le 485mila firme su Change.org. Merito anche dell’aiuto portato da Coop che ha deciso di aderire alla campagna in modo concreto: in occasione della Giornata internazionale delle donne, dal 6 al 13 marzo tutti gli assorbenti a scaffale sono venduti come se l’Iva fosse ridotta al 4. E così hanno fatto anche molti sindaci toscani, che hanno eliminato la tampon tax sulle confezioni di assorbenti in vendita nelle farmacie comunali: a Pontassieve, ad esempio, a pagare l’Iva sarà direttamente il Comune e non le cittadine. “
Il costo per far rientrare gli assorbenti tra i beni considerati di prima necessità, tassati quindi con un’aliquota agevolata, si aggirerebbe, secondo i calcoli degli uffici legislativi, intorno ai 300 milioni di euro – spiega a LaPresse Silvia Dedea del collettivo Onde rosa – La questione, comunque, non può essere letta solo attraverso una lente economica. Oltre la battaglia politica, c’è anche e soprattutto quella culturale e sociale. Equiparando i prodotti per le mestruazioni ad altri beni che non sono di prima necessità, come i telefoni o la birra, si manda alla società un messaggio distorto. I prodotti igienici femminili devono essere considerati per quello che sono: beni essenziali la cui spesa inevitabile grava ingiustamente su chi deve usarli. Che in questo caso, sono solo le donne”. Si calcola infatti che nell’arco di un anno l’abbattimento della tassazione porterebbe un risparmio per ogni donna di 40-50 euro: “non molto, certo, ma bisogna pensare anche alle famiglie con una madre e una o due figlie: in questo periodo di emergenza anche sociale 150 euro possono fare la differenza”. Dal collettivo assicurano: una volta raggiunte le 500mila firme “dovranno ascoltarci”