“Diversi membri del consiglio direttivo della Banca centrale europea hanno espresso preoccupazione sull’intero stato delle relazioni internazionali, non solo sul tasso di cambio”. Dopo la riunione della Bce, il presidente Mario Draghi, parla delle perplessità del consiglio sulle recenti politiche proibizionistiche degli Stati Uniti.
Senza fare nomi, Draghi ha sottolineato il fatto che la Bce non agisce sul tasso di cambio ma che dichiarazioni che ad esempio mettono in relazione il tasso di cambio con l’export possono avere effetti sul cambio stesso. Un passaggio che riecheggia fortemente quanto detto mercoledì a Davos dal segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Steven Mnuchin, che ha sottolineato come un dollaro debole sia dal punto di vista statunitense un bene dal punto di vista del commercio.
Alcuni movimenti nel tasso di cambio dell’euro “sono giustificati dal rafforzamento dell’economia” e sono quindi naturali, mentre “il tema è se altri movimenti siano causati da un uso del linguaggio che non riflette i termini concordati nell’ambito del 36mo meeting dell’International Monetary and Financial Committee tenutosi a Washington lo scorso ottobre”, ha evidenziato ancora Draghi, ricordando che durante tale riunione si era concordato di astenersi dalle “svalutazioni competitive” e dall’utilizzare il tasso di cambio a fini competitivi. Draghi ha comunque sottolineato che il tasso di cambio dell’euro non rappresenta un target per la Bce, che guarda piuttosto all’inflazione.
A chi gli chiedeva se l’attuale tasso di cambio dell’euro riflettesse i fondamentali dell’economia dell’area, Draghi ha quindi risposto: “Piuttosto che chiederci questo dobbiamo chiederci se è un prodotto endogeno del rafforzamento dell’economia o se è prodotto da dichiarazioni”. Rispondendo a una domanda successiva, Draghi ha rimarcato di non riferirsi alla comunicazione prodotta dalla Bce, ma dalla comunicazione prodotta “da qualcun altro”.