Le prospettive sono drammatiche, mai così dal dopoguerra. Non usa mezzi termini il Centro studi di Confindustria per descrivere gli effetti che l’impatto del coronavirus sta avendo sul tessuto industriale del Paese che senza un piano di emergenza rischia di non rialzarsi. Csc ha pubblicato il rapporto di marzo, primo mese centrato in pieno dalla pandemia. E i numeri non lasciano spazio all’immaginazione.
Sintetizza il rapporto: “La produzione industriale nel primo trimestre 2020 è attesa diminuire del 5,4%, il calo maggiore da undici anni;l’impatto del Covid-19 e delle misure di contenimento del contagio è stato devastante in marzo, quando l’attività è scesa del 16,6% su febbraio, portando l’indice di produzione indietro sui livelli di quarantadue anni fa; e le prospettive sono in forte peggioramento”.
Il futuro se possibile sarà peggiore: “Per il secondo trimestre, anche in conseguenza della chiusura di circa il 60% delle imprese manifatturiere, la caduta dell’attività potrebbe raggiungere il 15%. La diminuzione del valore aggiunto nell’industria contribuirà negativamente alla dinamica del Pil italiano, previsto arretrare del 3,5% nel primo trimestre e del 6,5% nel secondo”, specifica il Centro studi Confindustria. Necessario quindi intervenire con forza e senza indugi. “Per non aggravare prospettive già drammatiche occorre evitare ritardi nell’implementazione delle misure di sostegno alle imprese ed ai lavoratori”, chiedono a gran voce gli industriali italiani.
Il presidente Boccia riconosce comunque qualche merito al governo e spiega che le misure che il Governo è pronto a varare rappresentano “un passo importante, perché non sappiamo la durata di questa criticità”, dice in un’intervista televisiva. C’è bisogno però che anche l’Europa si muova. “Ci aspettiamo che anche l’Europa cominci a preoccuparsi della fase due, ovvero come governare la fase di transizione dopo la chiusura dell’emergenza”.
A fare previsioni fosche non è però solo Confindustria. Anche il centro studi tedesco Ifo spiega che “se l’arresto delle attività durerà più di un mese, le perdite per la produzione raggiungeranno rapidamente dimensioni che vanno ben oltre la crisi delle precedenti recessioni o catastrofi naturali, almeno nella storia dell’Unione europea”. In Italia, l’Ifo stima che i costi di una chiusura parziale di due mesi ammonteranno a 143-234 miliardi di euro, a seconda di uno scenario più o meno positivo. Il tasso di crescita annuale della produzione si ridurrà invece tra gli 8 e i 13,1 punti percentuali. Se le chiusure, sempre in Italia, si estenderanno a tre mesi, le perdite saliranno a 200-342 miliardi di euro, con una perdita di crescita di 11,2-19,1 punti percentuali.