La Cop26 si è chiusa con qualche delusione specie se messi in relazione alle aspettative. Ma alcuni passi avanti non sono mancati. Due in particolare, soglia del riscaldamento globale e target di decarbonizzazione. Più uno: una spinta alle piattaforme finanziarie e economiche, al multilateralismo e cooperazione internazionale, e ai modelli di partnership pubblico-privato proprio come indicato da Mario Draghi in chiusura del G20 (tanto che la Banca mondiale dopo il riferimento ha iniettato 25 miliardi).
Non si può però non mettere in evidenza come manchi quell’abbandono del carbone che ad alta voce veniva chiesto da più parti: al suo posto invece di “abbandonare” trova spazio il termine “ridurre”, con l’India che sembra abbia avuto l’ultima parola in merito intestandosi l’emendamento al testo conclusivo. E sicuramente lascia l’amaro in bocca il fatto che ancora non si sia riusciti a mettere in piedi il Fondo da 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo. Anche se si parla di transizione giusta, facendo risaltare in primo piano il ruolo dei giovani, delle donne e delle comunità e delle popolazioni indigene nella lotta alla crisi climatica.
Secondo il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani era “impossibile fare di più” con l’India “abile negoziatore” che ci ha messo “spalle al muro; ed è “impensabile fare una rivoluzione epocale con una Cop26“. Quello che invece si è fatto è “un passo avanti” anche se – riflette Cingolani – “l’impianto della Cop va ripensato”, dal momento che “con tanti tanti Paesi al tavolo” non è possibile “trovare compromessi validi”.
L’accordo finale della Cop26
Il punto dirimente dell’accordo finale sul clima, e decisamente quello che in modo sia pure ‘simbolico’ è riuscito a salvare l’onore del vertice mondiale delle Nazioni Unite a Glasgow, è l’abbassamento a 1,5 gradi del limite entro cui mantenere l’aumento della temperatura media globale rispetto ai livelli pre-industriali; i 2 gradi indicati dall’accordo di Parigi passano quindi di secondo piano. Tra gli step in avanti c’è anche l’obiettivo legato alla decarbonizzazione: tagliare del 45% le emissioni di CO2 entro il 2030 rispetto al 2010, zero emissioni nette per la metà del secolo, abbattimento del metano, e presentazione da parte dei singoli Stati e di nuovi obiettivi nazionali entro il 2022. Tra le altre cose, l’invito a sviluppare l’installazione di impianti di rinnovabili e riduzione delle centrali a carbone e dei sussidi alle fonti fossili. Importante anche il risultato raggiunto sul fronte delle regole: come per esempio essere riusciti a mettere a punto il ‘Paris rulebook’, le norme per l’attuazione dell’accordo di Parigi. Nonché l’esser riuscito a far dialogare gli Stati Uniti e la Cina, su uno dei terreni più instabili per le relazioni diplomatiche dei due Paesi; cosa che ha prima prodotto un accordo sulle emissioni e ha poi portato all’incontro, ancorché virtuale, tra il presidente Usa Joe Biden e il presidente cinese Xi Jinping.
Risultato mancato invece sul Fondo da 100 miliardi. Gli aiuti ai Paesi più poveri, per riuscire a mitigare e adattarsi ai cambiamenti climatici, dovranno aspettare. Al di là dell’invito a intensificare gli impegni al 2024, una data di attivazione del Fondo non viene specificata. Quindi un grande ‘buco’ che resta aperto. Una promessa che ci si trascina dietro dalla Cop21 di Parigi e che anche all’indomani dell’appuntamento di Glasgow resta soltanto sulla carta.