Sono ore di fuoco per la maggioranza e il governo. L’ultimo Dpcm, infatti, scatena la rabbia dei sindaci, che accusano l’esecutivo di aver fatto uno “scaricabarile” sulle loro spalle, senza nemmeno consultarli. Pomo della discordia è la misura sulle chiusure di strade e piazze a maggiore rischio di assembramenti: un comportamento ritenuto “scorretto” dai primi cittadini, allarmati dalle bozze circolate prima della conferenza stampa di Giuseppe Conte, domenica sera a Palazzo Chigi. Dopo una telefonata notturna con il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, invece, la misura è sparita dalla versione definitiva del testo, quella con la firma in calce del presidente del Consiglio, per intenderci.
La mediazione risulta fruttuosa, ma i sindaci comunque non ci stanno a passare per quelli che si scrollano dalle loro responsabilità: “I sindaci non si sottraggono mai, figuriamoci in tempo di emergenza”, tuona il numero dell’Associazione dei Comuni italiani, che preferirebbero attivare una cabina di regia al Viminale. “Se questo è il nostro compito, lo faremo” ma, aggiunge Decaro, “come ho spiegato al premier, individueremo le aree all’interno del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica”, poi sarà lo Stato a dover “assicurare il controllo attraverso le forze dell’ordine, coordinate dal prefetto e dal questore”. La soluzione è concordata anche con la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, assicura Conte. Che ci tiene a chiarire: “Stiamo parlando di misure sperimentali, dobbiamo costruite qualcosa di nuovo”. Non c’è nulla di definitivo, quindi: “Vediamo che risposte ci darà, ci prendiamo del tempo”. L’obiettivo è evitare il lockdown generale, ma il premier sa bene che la curva epidemiologica corre più veloce dei Dpcm. Ecco perché, ancora una volta, ribadisce che si potranno avere restrizioni “circoscritte” se le misure di contenimento dovessero rivelarsi inefficaci.
Anche un decreto a settimana “se servisse”, si spinge a dire il ministro degli Affari regionali, Francesco Boccia. Intanto, sul suo tavolo del suo collega di governo, il responsabile della Salute, Roberto Speranza, arriva la proposta della Lombardia (voluta all’unanimità anche da tutti i sindaci dei comuni capoluogo), che chiede un ‘coprifuoco’ dalle 23 alle 5 del mattino, a partire da giovedì 22 ottobre, per tutte le attività e gli spostamenti, ad esclusione dei casi ‘eccezionali’ (motivi di salute, lavoro e comprovata necessità), nell’intero territorio regionale. Inoltre, nei week end vorrebbero la chiusura della media e grande distribuzione commerciale, tranne che per gli esercizi di generi alimentari e di prima necessità. All’istanza risponde quasi in tempo reale Speranza: “Sono d’accordo sull’ipotesi di misure più restrittive. Ho sentito il presidente Fontana e il sindaco Sala e lavoreremo assieme in tal senso nelle prossime ore”.
La situazione, insomma, inizia a farsi davvero critica. Anche se c’è ottimismo nel governo, come dimostra la riflessione del ministro per il Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà: “Se ci comportiamo nella maniera adeguata, sono convinto che riusciremo a superare indenni i prossimi mesi e quindi passare il Natale in maniera tranquilla insieme ai nostri casi”. Il tema tornerà anche nei passaggi che farà Conte alle Camere: mercoledì alle 16 sarà in Senato, il giorno dopo, invece, a Montecitorio l’appuntamento è 10. Sarà l’occasione anche per le opposizioni di alzare il livello di scontro, dopo le prese di posizione dei leader del centrodestra che si sentono esclusi, ancora una volta, dalle decisioni importanti nella fase più difficile della pandemia.