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Crisi, tocca al centrodestra salire al Colle. Sulla linea è tensione tra Salvini e Meloni

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L’appuntamento al Colle è fissato per domani alle 16, quando il centrodestra compatto, e al completo anche delle sue piccole componenti, varcherà la soglia del palazzo dei Papi. Eppure l’alleanza, a poche ore dal faccia a faccia con il capo dello Stato, Sergio Mattarella – nell’ambito delle consultazioni dopo le dimissioni del premier Giuseppe Conte – sembra viaggiare ancora su binari diversi. E a confondere la rotta è lo stesso leader leghista, Matteo Salvini, che cambia ancora strategia. “Ci vuole serietà, non vado al governo a tutti i costi: la parola va data agli italiani: l’unica alternativa è un governo di centrodestra oppure si deve andare al voto”, tuona dopo essere stato a palazzo Chigi per l’audizione di Conte, da parte del gup di Catania, per il caso Gregoretti.

Niente dialogo e confronto con le altre realtà politiche, avanzato ieri, insomma. Si torna piuttosto alla casella di partenza: dopo il fallimento del Conte ter o esecutivo di centrodestra o chiamare gli italiani alle urne. Il segretario del Carroccio ne è convinto: “Il presidente Mattarella non potrà tollerare ancora a lungo questa caccia ai viandanti”, attacca. Un cambio di passo necessario, raccontano, dopo i nervosismi registrati in Fdi durante la direzione del partito. Meloni avrebbe lamentato la scarsa compattezza sulla linea prestabilita da tutti gli alleati, che avrebbe rischiato di portare al Colle una coalizione indebolita. Salvini sposta però l’attenzione sull’attuale risicata maggioranza che “non sta cercando dei responsabili, ma dei profughi, attaccati alle proprie poltrone”, scandisce. Parole che riportano alla mente, per la freschezza del fatto, la giravolta di Luigi Vitali che nella serata di ieri ha giurato fedeltà al Conte ter e al risveglio si è rimangiato l’impegno ritornando in Forza Italia. Il senatore azzurro era sicuramente tra gli attenzionati, tra quelli che avevano da sempre mostrato una certa insofferenza nei confronti della direzione azzurra, a trazione sovranista. E’ proprio lui, infatti, a tirare in ballo Salvini che ieri lo avrebbe chiamato – confida Vitali ai numerosi cronisti pronti a strappargli una dichiarazione – per convincerlo a restare. Il leader del Carroccio, racconta il senatore figliol prodigo, “mi ha detto che è disposto a parlare con chiunque purchè si facciano la riforma del fisco e quella della Giustizia”. Ma a fargli cambiare davvero idea, racconta, la telefonata a tarda sera di Silvio Berlusconi, “che mi ha ricordato gli anni passati insieme e la nostra storia” nel partito. Il Cav poi avrebbe ricordato a Vitali ” di essere stato il primo a dare la disponibilità per un governo di larghe intese” e che “non si sarebbe tornati alle urne” rassicurandolo che la sua ultima legislatura era salva. La narrazione però a palazzo Madama è tutt’altra. Sarebbero stati i senatori pugliesi – con un tam tam asfissiante – a farlo tornare sui suoi passi, ricordandogli anche che il suo sarebbe stato solo un numero in più a sostegno della maggioranza, che non avrebbe spostato le sorti dell’attuale inquilino di palazzo Chigi, ormai destinato a preparare le valigie. Insomma piuttosto che rischiare di rimanere con un mucchio di cenere in mano, meglio rimanere nel centrodestra e non seguire la scia di Andrea Causin e Maria Rosaria Rossi.

L’uscita di ieri sera di Vitali, è indubbio, continua far sanguinare Forza Italia. Mentre i senatori dell’Udc restano saldi nel perimetro della coalizione, quelli azzurri sembra sempre sull’uscio. E questo non piace al Cav che avrebbe richiesto un maggiore controllo su quelli in bilico. I tormenti dell’uomo di Arcore tuttavia non si fermano ai cani sciolti pronti al richiamo delle sirene di Conte. Questa mattina Mara Carfagna ha incontrato Giovanni Toti, leader di Cambiamo, con cui aveva iniziato una interlocuzione politica prima della nascita della piccola Vittoria. Il dialogo prosegue e non è un caso che la vicepresidente azzurra abbia apertamente sposato la linea del governatore della Liguria sulla necessità di sostenere un governo di unità nazionale con guida autorevole. Un ipotesi che in questa fase non è possibile presentare prima che – trapela – il nome di Conte non diventi una parentesi del passato.

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