Scegliere l’eutanasia non è affatto una scelta di “civiltà”, la vita umana ha una “dignità intangibile“. Papa Francesco mette a tacere le voci nate a novembre scorso, quando la sua posizione apertamente contraria all’accanimento terapeutico aveva fatto pensare a molti a un piccolo primo passo verso una “apertura” ragionata all’eutanasia.
“Il processo di secolarizzazione – dice oggi il Pontefice alla congregazione per la dottrina della fede – assolutizzando i concetti di autodeterminazione e di autonomia, ha comportato in molti Paesi una crescita della richiesta di eutanasia come affermazione ideologica della volontà di potenza dell’uomo sulla vita. Ciò ha portato anche a considerare la volontaria interruzione dell’esistenza umana come una scelta di ‘civiltà’. È chiaro che laddove la vita vale non per la sua dignità, ma per la sua efficienza e per la sua produttività, tutto ciò diventa possibile. In questo scenario occorre ribadire che la vita umana, dal concepimento fino alla sua fine naturale, possiede una dignità che la rende intangibile”.
La mentalità contemporanea “fatica”, sostiene Bergoglio, ad affrontare l’idea del dolore, della sofferenza, il senso della morte. Qui deve intervenire la Chiesa, nel saper creare una “speranza affidabile” che aiuti ad affrontare anche il dolore e la morte.
Il 16 novembre scorso, nel messaggio alla Pontificia Accademia per la vita, aveva spiegato che “gli interventi sul corpo umano diventano sempre più efficaci, ma non sempre sono risolutivi: possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute”. E poi aveva parlato della necessità di avere un “supplemento di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona”.
Posizione già espressa, però, da Benedetto XVI nel 2008, quando intervenendo alla Conferenza internazionale sulla pastorale dei bambini malati, aveva chiesto di trovare il “giusto equilibrio” tra “insistenza e desistenza” dei trattamenti.