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Dazi, Juncker negli Usa a luglio: “Non mi piace l’idea che Trump voglia divedere Ue”

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Dal continente americano a quello asiatico, passando per l’Europa, proseguono le risposte – dirette e indirette – al clima di tensione commerciale innescato dalle politiche di Donald Trump. Per quanto riguarda l’Unione europea, la notizia del giorno è che il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncher, si recherà negli Usa tra circa un mese per perorare la causa degli Stati membri.

“Andrò a Washington a fine luglio e presenterò il punto di vista europeo”, ha annunciato il politico lussemburghese parlando in conferenza stampa alla conclusione del Consiglio europeo. “Non mi piace questa idea, che a volte viene attribuita all’amministrazione Usa, di dividere l’Ue sul commercio”, ha quindi affermato in quello che è sembrato un chiaro riferimento a quanto riferito oggi dal Washington Post, cioè che lo stesso Trump – nel corso di un colloquio privato avuto in aprile – avrebbe chiesto a Emmanuel Macron perché la Francia non abbandoni il blocco, offrendogli in caso di uscita un accordo commerciale bilaterale a condizioni migliori rispetto a quelle riservate al resto dell’Unione. La Casa Bianca non ha commentato, ma neppure smentito, la ricostruzione. Dal canto suo, Macron ha invece sottolineato che “le cose dette in privato devono rimanere in privato”, riaffermando il proprio impegno europeo.

In attesa che Juncker attraversi l’Atlantico, l’amministrazione statunitense si è intanto a smentire altre voci, questa volta raccolte dal sito Axios, per cui Trump avrebbe più volte detto ai suoi collaboratori di voler uscire dall’Organizzazione mondiale del commercio. “Questa è una esagerazione”, ha assicurato il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, spiegando che – per quanto ci siano preoccupazioni su alcuni temi legati all’attività del Wto – l’impegno della Casa Bianca rimane quello di “abbattere le barriere” commerciali promuovendo il libero scambio. I recenti dazi imposti da Washington su acciaio e allumino hanno però provocato la reazione dei vicini canadesi, che oggi – sulla scia di quanto fatto anche da Bruxelles – hanno presentato le loro contromisure, indirizzate verso prodotti statunitensi per un valore di 12,6 miliardi di dollari, compresi alcuni elementi fondamentali per il classico barbecue di stagione, dal ketchup al bourbon. “Non cercheremo l’escalation e non arretreremo”, ha dichiarato il ministro degli Esteri, Chrystia Freeland, aggiungendo che “il Canada non ha altra scelta che controbattere con una risposta dollaro per dollaro misurata e reciproca”.

A mantenere un profilo basso è intanto la Cina, che sembrerebbe aver scampato il rischio di restrizioni sugli investimenti in aziende tecnologiche a stelle e strisce, dal momento che Trump ha annunciato di ritenere sufficiente, per il momento, il piano di potenziamento dei poteri del Comitato sugli investimenti esteri. Con una manovra di segno opposto, Pechino ha annunciato che la “lista negativa” dei settori ai quali gli investitori stranieri non possono accedere liberamente scenderà dagli attuali 63 a 48 ambiti. L’allentamento dei vincoli entrerà in vigore il 28 luglio e includerà l’industria automobilistica, l’agricoltura, le infrastrutture e l’estrazione mineraria, secondo quanto dichiarato dall’agenzia cinese di pianificazione economica, la Ndrc. Le autorità hanno inoltre pubblicato oggi un “white paper” in cui difendono le riforme intraprese nel Paese da quando questo è entrato a far parte dell’Organizzazione mondiale del commercio nel 2001. “La Cina ha fermamente mantenuto tutte le promesse fatte al momento dell’adesione”, ha dichiarato il vice ministro del Commercio, Wang Shouwen, in occasione della presentazione del rapporto, invitando tutti i Paesi che non sono d’accordo a “presentare un reclamo contro di noi”.
 

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