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De Filippi (Msf): “Continueremo a salvare vite in mare. Ma senza armi a bordo”

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

“La Prudence? Adesso è in mare, al largo delle coste libiche, in zona Sar. Se ci saranno persone in pericolo, interverremo come abbiamo sempre fatto, rispettando le regole, le leggi del mare e il coordinamento della Guardia Costiera“. Anche se sarete fuori dal “sistema” come ha detto il ministro Minniti? “Anche se saremo fuori dal sistema”. Loris De Filippi è il presidente di Medici senza Frontiere (MsF), una delle Ong (certamente la più importante) che non hanno firmato il Codice di condotta proposto dal Ministero degli Interni. Secondo quello che è uscito dal Viminale, da oggi Msf dovrebbe essere esclusa dalle attività di soccorso. La “Prudence” è la nave di Medici senza Frontiere, quella con il nome della gloriosa Ong scritto sulle fiancate in lettee rosse che compare in tante immagini del soccorso in mare. La sigla “Sar” significa “Search and Rescue” (Ricerca e Recupero).

“In realtà – prosegue De Filippi – siamo lì e, se ci sarà bisogno ci metteremo al lavoro come tutte le altre volte. Cosa succederà? Non lo so. Vedremo di volta in volta. Noi, in questi anni abbiamo salvato 65mila persone e abbiamo sempre rispettato la legge. E siamo sempre stati in buoni rapporti con la Guardia Costiera che si fida di noi”.

I punti sui quali si è impuntata la discussione al Ministero e sui quali, alla fine, Msf ha deciso di non firmare, sono due: la presenza di polizia armata a bordo con la richiesta di collaborare nelle attività di indagine e il divieto (“incomprensibile” dice De Filippi) di trasborsdare le persone salvate su navi più grandi. Vediamoli uno per uno.

“Una premessa: le regole del codice sono tredici e le altre 11 le abbiamo sempre rispettate e vogliamo continuare a rispettarle. Il rifiuto delle armi a bordo fa parte della nostra ‘policy’ da quando siamo nati, nel 1971 e l’abbiamo rispettata e fatta rispettare in tutte le situazioni anche drammatiche in cui ci sianmo trovati in 75 paesi diversi. Anche adesso, la polizia sale a bordo nei porti per controlli, richieste, domande. Noi non l’abbiamo mai rifiutata. Quasi sempre i poliziotti salgono senza armi. Durante le operazioni, però, il no alle armi è assoluto. Su questo non possiamo transigere”.

E la questione dei trasbordi? “Lo fanno tutti perché è il sistema migliore per salvare tante persone. Si caricano tutte su una nave (in genere la più grossa) e solo questa raggiunge il porto più vicino. Le altre possono restare sull’area d’intervento e salvare altre vite”.

Sembra logico, ma perché, il codice vieta il trasbordo? “Non l’abbiamo capito neanche noi. A dirla tutta, credo si tratta della volontà di emarginare alcune piccole Ong che non hanno grandi mezzi, lavorano ai margini del teatro Sar e che hanno bisogno del trasbordo in tutti i casi. Ma noi cosa c’entriamo? In tante occasioni, portiamo le persone direttamente in porto, in altre facciamo il trasbordo, ma l’obiettivo è sempre quello di un intervento migliore, più efficiente, che salva più vite”.

Vi aspettate ritorsioni? “Non lo so, davvero staremo a vedere. Magari, fra qualche ora glielo saprò dire. C’è una cosa, comunque, di questa vicenda che non ci è piaciuta fin dall’inizio…”. Quale? “Il fatto che ci hanno presentato un codice fatto di 13 punti senza un preambolo, un qualcosa che spiegasse che il salvataggio della gente in mare è un obiettivo “buono” che le Ong fanno parte di un sistema positivo, che il governo si dà da fare perché i salvataggi ci siano e siano efficaci…”.

Invece? “Invece abbiamo avuto la netta sensazione che si pensasse solo a mettere dei limiti, che dei salvataggi importa fino a un certo punto, che l’obiettivo fosse mettere la situazione sotto controllo per rispondere alle polemiche. Per questo abbiamo deciso di non firmare e di andare avanti… avanti a cercare di salvare le persone che altrimenti annegherebbero in mare, nel nostro mare”.

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