Oltre quello dei migranti c’è un dossier che resta aperto nell’agenda europea dell’Italia ed è relativo ai conti pubblici. L’oggetto del contendere è la manovra correttiva, che aleggia come uno spettro minaccioso sul governo Conte: ‘si farà o non si farà?’, sono in molti a chiederselo. Stando alle ultime dichiarazioni del viceministro dell’Economia, Laura Castelli, i dubbi restano tutti, perché l’esponente M5S non si sbilancia sul tema: “La verità è che pare di sì, ma ancora non ci sono delle informazioni così chiare”. Nel caso l’esecutivo, però, non si tirerà indietro: “Se ci sarà la necessità di fare una manovra correttiva, noi saremo in grado di farla”, mette agli atti il numero 2 del Mef.
La posizione di Castelli sembra però cozzare con quella di Matteo Salvini, che sull’argomento ha idee molto più tranchant dell’alleata: “Fantasie di Confindustria”. Le cifre che ballano sul piatto sono di tutto rispetto, circa 9 miliardi di euro. Non un ‘bagno di sangue’ per le casse italiane, ma comunque un possibile handicap in vista della formazione della legge di Bilancio, nel prossimo autunno, quando al pettine dovranno inevitabilmente venire i primi nodi cruciali del ‘contratto’ di governo Lega-M5S, quelli economici. La ‘ciccia’, per intenderci. Lo sa bene il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che da Bruxelles non lascia passare uno spillo con i media, trincerandosi dietro un confortevole “vedremo” quando gli viene chiesto di una eventuale manovra bis. “Fatemi tornare in Italia e parlare con il ministro dell’Economia, innanzitutto”, sottolinea il premier, reduce da una nottata movimentata al Consiglio Ue.
Fonti attendibili, comunque, escludono che il titolare del Mef, Giovanni Tria, sarà costretto a rimettere mano alla calcolatrice. La tendenza italiana è positiva, con una discesa lenta ma costante del deficit che, seppur non toccherà la soglia dello 0,3%, ci andrà comunque molto vicino. Forse qualcosina meno, ma comunque sempre nella ‘safe zone’. Del resto, nessuno ha chiesto a Tria manovre correttive, durante l’ultimo vertice dei ministri economici in Lussemburgo, soprattutto non lo hanno fatto i severi e ‘temuti’ commissari Ue, Valdis Dombrovskis, e Pierre Moscovici, con i quali il ministro ha avuto colloqui cordiali e tranquilli. Dunque, se l’Europa non ci chiede nessuna correzione sui conti pubblici, non si capisce perché questo debba essere un tema all’ordine del giorno del governo italiano.
Quei soldi torneranno utili tra qualche mese, anche se non è chiaro se per impostare la flat tax o dare avvio all’iter di riforma dei centri per l’impiego, preludio a quel reddito di cittadinanza per proteggere il quale il M5S sta erigendo un vero e proprio fortino. Prima, però, c’è da mettere in cascina il decreto Dignità del ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, che sembra davvero vicino al passaggio in Consiglio dei ministri. Forse già lunedì sera, come aveva annunciato il titolare dei Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro. Sicuramente ci arriverà con le coperture, “anche di più”, anzi, come sostiene il vicepremier Salvini, che smentisce i rumors spiegando che “ci saranno dei punti da limare, ma sui principi siamo d’accordo e io sono assolutamente favorevole” alla misura. Su questo punto il pensiero coincide con quello di Laura Castelli, che garantisce: “Non è stato stoppato, ma la macchina ha i suoi tempi”. La volontà politica “è chiara e netta”, però. Elementi fondamentali per “chiudere in fretta”. Per Di Maio si è già perso fin troppo tempo.