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femminicidio dati calano omicidi aumentano donne uccise

L’ultimo caso è quello di Sarzana (La Spezia): Roberta Felici, 53 anni, quattro figli e una vita non semplice, è stata uccisa a coltellate dal suo compagno, un ragazzo rumeno di 29 anni. Il suo è il 28esimo femminicidio dall’inizio dell’anno: vuol dire che dallo scorso 1 gennaio è stata uccisa una donna ogni 80 ore. (verificare che non ce ne siano altri)

Nel 2017, invece, le donne uccise sono state 114, pari al 36,3% degli omicidi totali censiti nello stesso periodo. Sono i dati dell’Eures Ricerche economiche e sociali, che ha stilato il rapporto “Quarto rapporto sul femminicidio in Italia. Caratteristiche e tendenze del 2017”. Il dato è parziale, perché prende in considerazione solo i primi 10 mesi del 2017. Per avere i dati di un anno intero dobbiamo andare al 2016, quando sono state uccise 150 donne, il 37,1% del totale degli omicidi, la percentuale più alta in Italia dal 2000.

Diminuiscono gli omicidi, aumentano i femminicidi

Una piccola premessa: la legislazione italiana non prevede il concetto di femminicidio inteso come uccisione di una donna per questioni di genere: questo vuol dire che non è ancora stato riconosciuta una specifica tipologia di omicidio in cui l’appartenenza al genere femminile della vittima è la causa essenziale e movente dell’omicidio stesso. I dati a disposizione, quindi, si riferiscono alla totalità degli omicidi in cui le vittime sono donne, indipendentemente dal movente. E’ in questa accezione che parleremo di femminicidio in questo articolo: come omicidio in cui la vittima è una donna.

Secondo l’Eures dal 2000 al 2016 in termini assoluti gli omicidi sono diminuiti di quasi la metà: siamo passati dai 754 dell’inizio del millennio ai 404 del 2016, con una variazione di -46,4%. Di contro, la percentuale di femminicidi sul totale degli assassini è aumentata, passando dal 26,4% (199) del 2000 al 37,1% attuale (150): più di dieci punti percentuali in poco più di 15 anni. Questo vuol dire che a essere uccise sono sempre più le donne.

Più di una donna su quattro viene uccisa in famiglia, nella maggior parte dei casi dal proprio compagno

I dati Eures dimostrano che a crescere è stata anche la percentuale di femminicidi che hanno origine familiare: si è passati dal 66,3% del 2000, al 76,7% del 2016 per una media del 71,6 %. Nel periodo considerato è quindi evidente una costante: le donne italiane vengono uccise soprattutto nelle proprie case e dalle persone che dovrebbero amarle. E se consideriamo le sole vittime italiane, la percentuale di omicidi avvenuti nel contesto familiare e affettivo sale all’81,3%.

Un’altra tendenza costante è che la maggior parte dei femminicidi avviene all’interno della coppia: nel 2016 il 64,3% delle donne è stata uccisa dal coniuge (44,3%), dall’ex coniuge (16,5%) o dal partner/amante (3,5%).

Quasi la metà delle vittime di femminicidio aveva denunciato prima

INTERVISTA POLIZIA

Non solo le donne vengono uccise soprattutto in ambito familiare, ma spesso si tratta della conseguenza di episodi di abusi reiterati nel tempo. In un quarto dei femminicidi di coppia censiti dal rapporto Eures la vittima aveva già subito violenze dal suo carnefice: è accaduto in media nel 24,2% dei casi tra il 2000 e il 2016, e la percentuale sale al 37,1% nel solo 2016. Le violenze nel 69% dei casi erano note a figure esterne alla coppia. In circa la metà dei casi (il 48,8%), i maltrattamenti avevano un carattere ricorrente, mentre per il 20,7% c’è stata un’escalation delle violenze agite.

Ma il dato che più di tutti colpisce è che quasi nella metà dei casi (nel 44,6%) la vittima aveva denunciato l’autore delle violenze, senza ottenere però una “protezione” idonea a salvarle la vita.

COSA NON FUNZIONA: RISPOSTE POLIZIA

Ricordiamo che queste violenze si inseriscono all’interno di un clima di abusi e violenze diffusi verso le donne. Secondo l’Eures, che cita i dati dell’ultima indagine sulla sicurezza delle donne (2014), nel corso della propria vita poco meno di 7 milioni di donne tra i 16 e i 70 anni (6 milioni 788 mila), quasi una su tre (31,5%), hanno subìto una qualche forma di abusi fisici o sessuali. Si tratte di violenze che comprendono sia forme “meno gravi” (come lo strattonamento o la molestia) sia altre più gravi, come il tentativo di strangolamento o lo stupro. Anche in questi casi le violenze sono perpetrate, nella maggior parte dei casi, dai partner attuali o dagli ex compagni: è così per 2 milioni e 800 mila donne vittime di violenza. Tra quelle abusate dal partner, più di una donna su tre ha riportato ferite, lividi, contusioni o altre lesioni (37,6%). Circa il 20% è stata ricoverata in ospedale a seguito delle ferite riportate: tra queste più di un quinto ha riportato danni permanenti. Le violenze sessuali, nello specifico, spesso si verificano nell’adolescenza: il 10,6% delle donne dichiara di aver subìto una qualche forma di violenza sessuale prima dei 16 anni.

Il profilo delle vittime: del Nord Italia, senza lavoro e anziane

Le donne vengono uccise soprattutto nel Nord Italia: qui secondo l’Eures i femminicidi nel 2016 sono stati 78, pari al 52% del totale, con un incremento del 30% rispetto al 2015 (quando si sono contate 60 vittime). Al Centro si è registrata una crescita simile, del 30% (passando da 20 a 26 vittime nello stesso periodo). Risultano invece in forte calo i casi al Sud, dove scendono da 62 a 46 (-25,8%). In termini assoluti le regioni in cui si uccide di più sono, nell’ordine: Lombardia, Veneto e Campania, con rispettivamente 25, 17 e 16 donne uccise nel 2016. Ma se rapportiamo il numero delle vittime a quello degli abitanti la classifica cambia e nei primi tre posti troviamo Liguria (con 7,3 femminicidi ogni milione di donne residenti), Calabria (7 femminicidi/mln) e Veneto (6,8). Il Nord si conferma l’area più interessata dal fenomeno anche nel “lungo periodo”: dal 2000 al 2016 qui è avvenuto il 46,8% dei femminicidi (1.332); al secondo posto c’è il Sud, con il 34% (966 vittime) e infine il Centro, con il restante 19,2% (546 casi).

La maggior parte delle donne uccise nel 2016 non aveva una posizione lavorativa: parliamo del 63% delle vittime, contro un 37% di donne occupate. Il dato non fa che confermare la convinzione che vivere in una situazione di marginalità sociale o economica è un fattore di rischio. Questo per due ragioni: sia perché una donna non indipendente economicamente più difficilmente si allontanerà da un compagno violento, sia perché l’essere escluse dal mercato del lavoro significa essere più isolate e meno inserite in un contesto di reti sociali.

La fascia d’età più colpita dal femminicidio, nel 2016, è stata quella che va dai 65 anni in su: il 30% delle vittime. Al secondo posto troviamo le 25-34enni e al terzo le 45-54enni. Si conferma la tendenza – già ricontrata nelle edizioni precedenti dei report – all’aumento degli omicidi di donne over 65 (aumentati del 7,1% rispetto al 2015).

Nel 2016 sono aumentate anche le vittime straniere rispetto all’anno precedente, con un +40,7% (siamo passati dalle 27 vittime straniere del 2015 alle 38 del 2016). In quell’anno oltre un quarto delle donne uccise in Italia è stato di origine straniera. Tra gli omicidi di donne straniere più della metà (il 58,9%) è stata uccisa da autori anch’essi stranieri. Nel 41,1% dei casi ad uccidere una donna straniera è stato un italiano. Da notare che solo nell’8% dei femminicidi con vittime italiane a uccidere è stato uno straniero.

Il profilo dei carnefici: uomini, di mezza età, possessivi

Nel 2016 in più di 9 casi su 10 a uccidere le donne sono stati gli uomini: per l’esattezza parliamo del 92% dei femminicidi, percentuale che si alza di poco, fino al 93%, se consideriamo solo gli omicidi di donne in ambito familiare. Numeri che confermano la tendenza del periodo 2000-2016, quando a uccidere le donne sono stati uomini nel 91,9% dei casi. Il numero degli autori “noti” non coincide con il numero delle vittime perché i dati possono riferirsi solo a quei casi in cui è stato possibile identificare un colpevole.

Negli ultimi anni è cresciuta anche l’età media degli autori: nel 2016 ad uccidere le donne sono stati soprattutto uomini tra i 45 e i 54 anni (24,1%) seguiti dagli ultra 64enni (23,4%). Mentre considerando la media dal 2000 al 2016 prevale la fascia dei 35-44enni (25,6%) seguita dai 45-54enni (18,9%) e dai 25-34enni (18,5%).

L’arma prediletta dai carnefici varia a seconda dell’ambito in cui avviene il femminicidio: nel 2016 nei casi di femminicidi in ambito familiare è prevalso l’uso di armi da taglio (nel 33% dei casi); in quelli legati alla criminalità (organizzata o comune) hanno avuto la meglio le armi da fuoco (29,4% delle vittime censite); infine, per quanto riguarda i femminicidi “di prossimità” la maggior parte delle vittime nel 2016 (il 27,8%) è stata strangolata.

Infine il movente dei femminicidi: è soprattutto il tarlo del possesso e della gelosia a motivare gli uomini che uccidono le donne in ambito familiare. Negli ultimi 16 anni il 30% dei femminicidi è avvenuto per moventi che l’Eures definisce “del possesso passionale” (il 31% nel 2016), seguiti da “liti e dissapori” (il 21%).

Una Rete contro la violenza. Per far fronte alle violenze ed evitare che degenerino in femminicidi, sono attivi sul territorio molti centri antiviolenza che oltre a raccogliere le testimonianze danno supporto alle donne coinvolte. Seguendo un iter non sempre facile come racconta Elena Bigotti, avvocata componente del direttivo di Telefono Rosa Piemonte-Torino, che parla di una dovuta preparazione per affrontare il tema: “Il problema non è tanto una mancanza dal punto di vista legislativo: ci vuole esperienza, preparazione ad hoc e sensibilità: le leggi le abbiamo, sono buone, abbiamo un impianto migliorabile ma attivabile. Ovviamente se denuncio devo avere un pronto intervento, non posso aspettare 9 mesi”.

E i problemi sono ad esempio una casa in cui vivere: “Importante è denunciare, tutti i centri antiviolenza sono collegati con degli enti locali di Regione e Comune: ognuno ha un numero, non elevato, di case rifugio dove la donna che denuncia viene collocata per un tempo normalmente limitato, sei mesi”, dice Bigotti. Che poi suggerisce: “L’aspetto economico è invece più debole, perché le risorse sono limitate, o così almeno sono narrate. Penso che potrebbero esserci: una strada sarebbe quella di riconoscere un assegno o un’indennità a chi ha il coraggio di fare questo passo”.

Una strada quella della denuncia che pare far breccia nelle giovanissime, come sottolinea Bigotti, molto attiva anche nelle scuole: “Le coppie giovani registrano meno casi di violenza: questo perché le giovani denunciano prima ed escono prima dai rapporti disfunzionali”.

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