Migliaia di persone hanno partecipato a Gaza ai funerali dei manifestanti palestinesi uccisi ieri negli scontri con l’esercito israeliano al confine fra la Striscia di Gaza e Israele. Il bilancio di venerdì è stato di almeno 16 palestinesi uccisi e oltre 1.400 feriti, in termini di vittime la giornata peggiore dalla guerra del 2014, data dell’ultima guerra fra Israele e Hamas, che da allora osservano un teso cessate il fuoco. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha elogiato tuttavia i soldati, per avere “protetto i confini del Paese”: “ottimo lavoro”, ha dichiarato, aggiungendo che “Israele agisce con vigore e determinazione per proteggere la sua sovranità e la sicurezza dei suoi cittadini”. Nonostante la collera sia aumentata dopo i fatti di venerdì, oggi solo qualche centinaio di manifestanti è tornato nei diversi punti della frontiera fra Gaza e Israele per proseguire la cosiddetta ‘Marcia del ritorno’. Sono comunque scoppiati nuovi scontri e, secondo il bilancio fornito dal ministero della Sanità di Gaza, 15 persone sono rimaste ferite ma non sono in pericolo di vita.
In diverse città della Striscia di Gaza una folla di persone ha accompagnato le bare dei manifestanti uccisi. I partecipanti ai funerali portavano bandiere palestinesi e alcuni chiedevano “vendetta”. Sono stati anche esplosi colpi in aria. Il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, aveva dichiarato per oggi una giornata di lutto nazionale e in un discorso ha affermato che ritiene Israele pienamente responsabile per le morti. Cinque delle vittime erano membri di Hamas, ha fatto sapere il braccio armato del movimento islamista che controlla la Striscia. E uno sciopero generale si è tenuto nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.
Intanto il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha chiesto “un’indagine indipendente e trasparente” sui violenti scontri, ribadendo “la prontezza” dell’organismo mondiale a dare nuovo slancio agli sforzi per la pace. A lui ha fatto eco l’Alta rappresentante per la politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, la quale ha affermato che “l’uso di munizioni vere dovrebbe essere oggetto di un’indagine indipendente e trasparente” e ha invitato tutte le parti coinvolte a “esercitare moderazione”.
La ‘Grande marcia del ritorno‘, ufficialmente organizzata dalla società civile, è sostenuta da Hamas. Obiettivo: chiedere il ‘diritto al ritorno’ per i rifugiati palestinesi e denunciare il blocco imposto da Israele a Gaza. È stata lanciata in coincidenza con la Giornata della Terra, in cui ogni 30 marzo si ricorda la morte nel 1976 di sei arabi israeliani durante le manifestazioni contro la confisca di terreni da parte di Israele, ed è previsto duri per sei settimane, dunque fino alla metà di maggio, quando i palestinesi ricordano la Naqba, l’esodo seguito alla guerra del 1947-1948. Il tutto nell’anno in cui Israele celebra i 70 anni dalla sua nascita e la tensione è alta dopo che a dicembre il presidente americano Donald Trump riconosciuto Gerusalemme capitale d’Israele, scegliendo di trasferirvi l’ambasciata Usa, il cui trasloco è previsto proprio intorno al 14 maggio.