Non si attenuano le frizioni fra Matteo Salvini e parte della magistratura dopo la nota del Viminale in cui, secondo i togati, il ministro dell’Interno ha di fatto ‘schedato’ quelli pro migranti annunciando ricorsi su sentenze contrarie ad alcuni provvedimenti emanati su zone rosse e iscrizione anagrafica di cittadini stranieri, da parte dei tribunali di Bologna e Firenze.
Salvini continua a respingere le accuse, e tira dritto: “Io non faccio liste. Ma prendo atto che, su migliaia di giudici che fanno il loro lavoro onestamente e obiettivamente, c’è qualcuno che fa politica, fa interventi pubblici, scrive libri e fa cose che sono spot sulla immigrazione di massa e poi giudica sulle norme relative alla immigrazione del ministero dell’Interno”, il pensiero del leader del Carroccio. E proprio per questo motivo chi fa il giudice “dovrebbe essere imparziale e al di sopra di ogni schieramento politico”.
Ma la presidente della Corte d’appello di Firenze, Margherita Cassano, non ci sta e parla di “ingiusto linciaggio mediatico e pericolo per l’incolumità” nei confronti della giudice Luciana Breggia e delle colleghe Rosaria Trizzino e Matilde Betti, annunciando di aver richiesto l’intervento del Csm per valutare “la sussistenza dei presupposti per l’apertura di una pratica a tutela”. Cassano inoltre spiega come il Viminale poteva costituirsi in giudizio nella causa a Firenze del richiedente asilo per la sua iscrizione all’anagrafe, ma non ha esercitato questa facoltà comportando la decadenza. Lapidaria la contro replica del leader leghista: “Mi spiace che venga chiamato in causa il Csm, che in queste settimane ha altro a cui pensare. Lavoro per la sicurezza di tutti gli italiani, magistrati compresi”, dichiara.
Pure il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, pur non criticando apertamente il collega di governo, fa le debite precisazioni rispondendo con un chiaro “non mi risulta” a chi gli chiede della tesi di Salvini sui troppi giudici che fanno politica. Il Guardasigilli, invece, preferisce mettere l’accento sulla stragrande maggioranza dei magistrati che “lavora ogni giorno e porta avanti la macchina della giustizia con fatica passione e coraggio”.
Un pensiero che viene condiviso anche dal presidente dell’Anac, Raffaele Cantone: “Io sono il primo a dire che per i giudici che fanno politica ci devono essere dei filtri per il rientro in magistratura, ma fare politica significa candidarsi”, dice. Una questione ben diversa dall’esprimere le proprie opinioni in pubblico, che è semplicemente “un diritto costituzionale”.