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Giustiziati a Boston due immigrati: Sacco e Vanzetti 90 anni dopo

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Era il 23 agosto di novant’anni fa, nei dintorni di Boston. Sulla sedia elettrica salivano due italiani emigrati negli Stati Uniti, Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco, giustiziati per una rapina mai compiuta, tra l’angoscia di parenti e amici, e manifestazioni che in tutto il mondo chiedevano la loro scarcerazione.

Nicola Sacco era nato in provincia di Foggia nel 1891. Veniva da una famiglia di produttori agricoli. Aveva trovato lavoro in una fabbrica di calzature e aveva sposato un’italiana nel 1912. Aveva due figli, Dante e Ines. Era attivo in manifestazioni per migliorare le condizioni dei lavoratori. Bartolomeo Vanzetti era invece nato al Nord, in provincia di Cuneo, nel 1888. Aveva lavorato in varie trattorie, in una cava, in un’acciaieria e in una fabbrica di cordami, la Plymouth Cordage Company. Qui aveva guidato uno sciopero. E per questo nessuno voleva più dargli un lavoro. Nel 1919 decise di mettersi in proprio facendo il pescivendolo.

Tra il 1917 e il 1920, durante e dopo la prima guerra mondiale, gli Stati Uniti sono percorsi dalla cosiddetta “paura rossa”. Sono gli anni della rivoluzione russa che porterà alla fondazione dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, l’Urss. Sacco e Vanzetti sono anarchici, non comunisti. Non hanno precedenti penali ma sono noti per essere radicali, attivi nella propaganda contro la guerra che insanguinava l’Europa.

Tanto Sacco quanto Vanzetti, infatti, facevano parte di un gruppo anarchico italo-americano. Per le loro posizioni, per evitare di servire lo Stato nella chiamata alle armi del del primo conflitto mondiale, fuggirono in Messico. Al loro rientro negli Stati Uniti, erano stati inclusi in una lista di sovversivi, e individuati probabilmente come “agnelli sacrificali” per mostrare l’inflessibilità dell’America degli Anni Venti.

Il ministro della Giustizia di Washington, Alexander Palmer, aiutato da John Edgar Hoover, futuro capo dell’Fbi, aveva deciso di mettere in atto una serie di raid contro tutti i sospetti. Questi erano  spesso immigrati che non riuscivano nemmeno a parlar bene l’inglese. Nella primavera del 1920, Sacco e Vanzetti furono arrestati per una rapina nei sobborghi di Boston. I due però non avevano affatto partecipato al crimine. Non potevano aver ucciso il cassiere della ditta, il calzaturificio Slater and Morrill, né la guardia giurata.

In tutto il mondo, si moltiplicarono gli appelli per non condannare i due innocenti. Per “Nick and Bart”, soprannomi dei due, si mobilitarono intellettuali e scrittori come Anatole France, che paragonò l’ingiustizia da loro subita a quella di Albert Dreyfus. Del caso si interessò anche il governo italiano, allora guidato da Benito Mussolini. I funzionari del ministero degli Esteri di Roma, così come l’ambasciatore italiano a Washington, si attivarono nel tentativo di ottenere una revisione del processo.

Sette anni e sette sette udienze dopo, in un celebre discorso prima della morte, Vanzetti disse: “Io non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra, io non augurerei a nessuna di queste ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un anarchico, e davvero io sono un anarchico: ho sofferto perché ero un italiano, e davvero io sono un italiano”.
 

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