Testa bassa e lavorare. Dopo il passo indietro di Luigi Di Maio da leader politico del Movimento Cinque Stelle, prima forza di governo, il premier Giuseppe Conte sceglie di rinunciare alla partecipazione – in forse fino all’ultimo – al Forum di Davos, tra le Alpi svizzere e i big dell’economia mondiale, e chiudersi a Chigi per affrontare i dossier più urgenti, a partire da quello dell’ex Ilva, prima di riunire il governo per il Cdm convocato in serata. Una riunione che, al di là dell’ordine del giorno, è una necessaria occasione di riflessione: inutile nascondere che il terremoto pentastellato rimescoli le carte, eppure non bisogna assolutamente dare l’idea che il governo sia a rischio. Si va avanti, ribadisce Conte, avanti con i tanti impegni assunti ma anche con la consapevolezza che serve un rilancio dell’azione dell’esecutivo, una taratura alla scaletta di impegni assunti a settembre. Il premier assicura ai suoi la volontà di non mollare e portare a termine la legislatura, nonostante le tribolazioni pentastellate, nonostante le regionali in Emilia Romagna, nonostante le tensioni nella maggioranza su una serie di temi a partire da quello della prescrizione.
Sul tavolo del premier c’è una pila voluminosa di fogli. Ci sono i fascicoli dell’acciaieria pugliese, su cui nel pomeriggio convoca il tavolo ‘cantiere Taranto’ con il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli. Ci sono i curriculum dei nuovi delle agenzie fiscali, pronti all’esame del Cdm: Ernesto Maria Ruffini dovrebbe tornare alle Entrate, Antonio Agostini alle Dogane e Marcello Minenna al Demanio. C’è il dl sul taglio del cuneo fiscale, cavallo di battaglia suo e del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, per “aggredire l’Irpef sul ceto medio”. Lo schema elaborato dal Mef – sulla base dei 3 miliardi stanziati in manovra nel 2020, che dovrebbero essere distribuiti tra 16 milioni di lavoratori – prevede un aumento fino a 100 euro per chi beneficia del bonus 80 euro e un allargamento, con base netta di 80 euro al mese per chi ha un reddito entro i 35mila annui e di 40 euro mensili per chi ne guadagna 40mila.
Ma non solo. A tallonare il premier c’è Matteo Renzi, che insiste perché “da lunedì Conte cambi passo, serve un’Italia che torni a crescere”. Lunedì è il day after regionali, e “per noi il giorno dopo le elezioni Conte deve aprire i cantieri, non la crisi”, assicura il leader di Italia Viva. Ma è anche il giorno in cui nell’aula della Camera approda la discussione sulla proposta di legge che cancella la riforma Bonafede sulla prescrizione presentata dal forzista Enrico Costa, con il voto previsto per martedì. Il premier ha poco tempo a disposizione per trovare una soluzione che soddisfi Italia Viva. “Eliminare la prescrizione corrisponde a un principio barbaro di giustizialismo senza fine, finalizzato a far sì che un cittadino diventi imputato a vita”, rimarca Renzi, secondo cui il ‘lodo Conte’ “ha un secondo aspetto di problematicità: nessuno crede che si possa arrivare al processo penale in 4 anni, altrimenti non parleremmo di prescrizione. Noi vogliamo lasciare la prescrizione come prima, e non possiamo dividere tra cittadini di Serie A e serie B – ha aggiunto – Qui non giochiamo un tema tecnico, ma di fondo, si usa la prescrizione come scalpo per un messaggio di giustizialismo”. Senza una soluzione Italia Viva potrebbe votare con i forzisti e “sfasciare la maggioranza”, come ha avvertito il segretario Dem Nicola Zingaretti.