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Governo, in Senato è sfida sui numeri per dl sicurezza e Tav

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Di Dario Borriello

Il tempo delle chiacchiere è finito, ora si fa sul serio. Si entra nelle ore caldissime in cui si saprà se il governo Lega-M5S può aspirare a un futuro (stabile o precario che sia) o se le urne dovranno riaprirsi il prossimo autunno. Molto dipende dalla volontà di Matteo Salvini di confermare la scelta di porre la fiducia sul decreto Sicurezza bis in Senato, perché in quel caso non ci saranno altre vie di fuga: il Cinquestelle dovrà garantire i suoi voti per l’approvazione o Giuseppe Conte dovrà salire al Quirinale per rimettere il mandato. Sulla carta i numeri sono ridotti all’osso, una maggioranza di soli 5 voti (166 sui 161 necessari), senza contare su aiuti esterni dal gruppo Misto. Il vero problema è che tra i 108 pentastellati almeno dieci, se non addirittura una dozzina, non riescono più a digerire l’alleanza con Salvini sui temi dell’immigrazione (e non solo) e sentono che il Movimento si sta appiattendo su valori che non sono quelli originari.

Molti di loro già a novembre scorso, con il primo dl Sicurezza, fecero uno sforzo a non pigiare il tasto rosso, decidendo di uscire dall’aula. Di quel gruppetto, nel corso dei mesi, alcuni sono stati mandati via, come Gregorio De Falco e Paola Nugnes, mentre Elena Fattori è sempre più a rischio espulsione e Matteo Mantero torna borderline: ‘graziato’ dai probiviri a dicembre, ma costantemente sotto osservazione. Luigi Di Maio in varie occasioni ha ribadito – senza far nomi o puntare il dito – che chi non rispetta le indicazioni del gruppo è fuori, eppure l’avvertimento non sembra spaventare particolarmente i dissidenti. Perché, a quanto si dice nei palazzi romani, si tratta di portavoce già al secondo mandato e che, in caso di elezioni anticipate, non avrebbero alcuna chance di essere ricandidati, neppure se ci fosse una ‘sanatoria’ per il fatto di non aver completato la legislatura.

Per il bene del Cinquestelle, la sensazione che trapela dagli ambienti pentastellati è che alla fine i ‘ribelli’ escano dall’aula abbassando semplicemente il quorum. Ma tutto questo a Salvini interessa ‘meno di zero’, riadattando una sua recente dichiarazione. Per il ministro dell’Interno sono problemi di Di Maio e dei suoi parlamentari, perché alla Lega qualsiasi scenario andrebbe bene: sia che il governo andasse avanti con un M5S indebolito dalle lotte interne, sia se saltasse tutto, così proverebbe a capitalizzare il cospicuo dividendo di consensi ottenuti alle ultime europee, e anche dopo. Difficilmente il ministro dell’Interno ascolterà gli appelli del centrodestra, con Forza Italia che continua a chiedere una retromarcia sulla fiducia per dare anche ai loro parlamentari l’occasione di votare un provvedimento che condividono. Così come non spaventano le proteste di Fratelli d’Italia, che non vuole fare da “stampella” all’esecutivo. Meno tranchant è invece la posizione assunta da Toti e i parlamentari che lo seguiranno nel nuovissimo soggetto politico Cambiamo!. Ovviamente non sono tanti, ma possono servire. Non in questo caso, però, perché pur ritenendo il provvedimento utile, la fiducia li costringerà a scegliere la via dell’astensione o del non voto. Dall’opposizione, invece, il segretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti, invita Salvini a “fare il ministro dell’Interno non il giullare” e “il buffone”.

Ma il countdown è partito: lunedì 5 agosto si votano le pregiudiziali di costituzionalità, poi il voto di fiducia. Se la maggioranza uscirà indenne, prima delle vacanze estive ci saranno, sempre al Senato, le mozioni sulla Tav. Favorevoli dalle opposizioni, contrarie dal M5S. La Lega dovrebbe astenersi in ogni caso, tanto dà il risultato della Torino-Lione per acquisito. Fino alle prossime ‘sfide’.

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