Il Senato manda a processo Matteo Salvini per il caso della nave Gregoretti. Un voto che non ha precedenti. Non è infatti mai accaduto nella storia del Parlamento, da quando è cambiata la normativa – il Referendum del 1987 – che una delle due camere autorizzasse i giudici a procedere nei confronti di un ministro. Con 152 no e 76 sì palazzo Madama, grazie a una maggioranza compatta, boccia l’ordine del giorno presentato da Forza Italia e Fratelli d’Italia che in ‘difformità’ dal parere della Giunta dell’Immunità proponeva il diniego alla richiesta del tribunale dei ministri di Catania. Una battaglia persa in partenza visto che, per passare, la mozione dei due partiti di centrodestra doveva ottenere la maggioranza semplice, quindi 160 voti a favore.
Si chiude così una vicenda per cui l’ex capo del Viminale è accusato di sequestro di persona plurimo per aver negato lo sbarco per quattro giorni a 131 migranti, ospiti della nave militare Gregoretti. A quasi un anno dal voto sulla nave Diciotti, per cui Salvini fu salvato dal processo grazie al voto dei Cinque Stelle, il Senato sposa le accuse dei giudici siciliani. Il leader della Lega, dopo l’arringa di Giulia Bongiorno, senatrice e responsabile giustizia del partito, si alza in piedi e si difende dall’accusa ribadendo di aver agito spinto dal “dovere” di proteggere il paese e che ogni decisione è stata presa seguendo una precisa linea governativa: “Non andrò a difendermi ma a rivendicare con orgoglio quello che collegialmente abbiamo fatto per l’Italia”. Scattano gli applausi dagli scranni di centrodestra che, a sorpresa, vede anche Giorgia Meloni seduta in tribuna. La presidente di Fratelli d’Italia arriva infatti a palazzo Madama solo per ascoltare l’intervento del Capitano “in solidarietà” con l’alleato, perché “se passa il principio che in Italia un ministro non possa fare quello che la gente gli chiede è finita la democrazia”.
L’intervento di Salvini è asciutto con un punto cardine: “Io non scappo e voglio andare a processo”. E’ infatti lo stesso leghista a chiedere ai suoi senatori di non opporsi: “Usciamo da quest’aula e facciamolo decidere a un giudice se sono un pericoloso criminale. Ringrazio i senatori della Lega ma noi non cambiamo, andiamo dritti, affrontiamo questa aggressione politica. Sono convinto che la fine sarà archiviata. Chi vota oggi pensando di vincere sarà confitto dalla storia”. Poi avverte chi ha schiacciato il pulsante per mandarlo alla sbarra: “Gli avversari in democrazia si battono alle urne non in un’aula di tribunale. C’è bisogno di una cavia? Eccomi.
L’unica mia preoccupazione non è per me: mi spiace per quello che i miei figli domani leggeranno sui giornali”. Infine, rivolgendosi alla maggioranza: “State tenendo ostaggio l’Italia procrastinando sempre: questo è sequestro di persona. Decidete sulla gronda, sul Mes, sulle autostrade, sulla giustizia, fate qualcosa e se saremo d’accordo voteremo a favore. Da sei mesi state paralizzando l’Italia litigando su tutto, tranne che sul cattivo Salvini”.
Nessuno in transatlantico scommette su una condanna per Salvini, lo stesso Matteo Renzi crede che alla fine la passerà liscia. Dovranno trascorrere mesi, però, per arrivare a un primo grado di giudizio e la legge Severino, in caso di condanna, scatterebbe solo dopo il terzo grado e, con sentenza ingiudicato, Salvini sarebbe interdetto dai pubblici uffici e non potrebbe più essere ricandidato. Un futuro buio, anche se a lungo termine, che però preoccupa i vertici di via Bellerio. I timori riguardano non solo l’aspetto giudiziario – con sulla testa anche la richiesta di autorizzazione a procedere per Open Arms – ma soprattutto l’isolamento in cui Salvini si sta rintanando soprattutto in Europa. Un aspetto su cui è Giancarlo Giorgetti a lavorare, confidano, “con non poche difficoltà”.