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Il Fmi avverte l’Italia: “Pil sotto l’1% di crescita per 5 anni. Dubbi su reddito di cittadinanza e quota 100”

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La crescita del Pil dell’Italia sarà inferiore all’1% annuo almeno fino al 2023. Lo stima il Fondo monetario internazionale nel suo rapporto ‘Article IV’ sull’economia italiana, che prevede una crescita dell’Italia dello 0,6% nel 2019 e dello 0,9% nel 2020, non modificando quanto contenuto nell’ultimo aggiornamento del World Economic Outlook, diffuso solo pochi giorni fa a gennaio. Tuttavia, l’aumento del Pil non toccherebbe nemmeno il punto percentuale nei prossimi cinque anni. Il Fondo vede una crescita dello 0,7% nel 2021, dello 0,6% nel 2022 e dello 0,6% nel 2023.

Secondo il Fondo, in Italia la crescita “è rallentata” e “il rischio di una recessione è aumentato” e ci sono timori per le politiche del governo che “potrebbero lasciare l’Italia vulnerabile a una rinnovata perdita di fiducia del mercato, anche in assenza di ulteriori shock”. “Sebbene lo stimolo previsto potrebbe alzare temporaneamente la crescita, l’aumento dei costi di finanziamento per le banche e il rischio sovrano indeboliscono ulteriormente la crescita”, spiega il Fmi, che ritiene che “il debito potrebbe aumentare prima e più rapidamente se si concretizzeranno nuove sfide”. Quindi, continuano gli economisti dell’istituzione internazionale con sede a Washington, “l’Italia potrebbe essere costretta a una notevole contrazione fiscale, spingendo un indebolimento dell’economia in una recessione” e “l’onere” ricadrebbe “in modo sproporzionato sui più deboli”.

Dubbi su reddito di cittadinanza e quota 100 – Il Fondo esprime perplessità anche sui provvedimenti bandiera del governo: reddito di cittadinanza e quota 100. Le intenzioni del governo italiano di “aumentare la crescita e l’inclusione sociale sono benvenute” ma “siamo preoccupati” perché il reddito è “molto elevato rispetto alle buone pratiche internazionali”, scrive l’Fmi, che riconosce comunque la necessità per l’Italia di “una moderna rete di sicurezza sociale rivolta ai poveri” perché “i redditi reali per persona sono ancora ai livelli di vent’anni fa, il tenore di vita di mezza età e giovani è diminuito e l’emigrazione dei cittadini italiani è vicina a cinque alto decennio”. Ma il reddito di cittadinanza, così come messo a punto dal governo, “potrebbe scoraggiare la partecipazione alla forza lavoro formale e aumentare la dipendenza dal welfare”.

Passando alle pensioni, spiegano gli economisti, “siamo preoccupati che ciò aumenterebbe il numero di pensionati, aumenterebbe la già elevata spesa pensionistica e ridurrebbe la partecipazione alla forza lavoro e la crescita potenziale”. 

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