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Il primo morto in Bergamasca si infettò ad Alzano: il lavoro sulle cartelle cliniche

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  Tutte le cartelle cliniche dei moltissimi pazienti transitati dall’ospedale di Alzano Lombardo e dei tantissimi operatori sanitari che hanno contratto il covid-19 dopo aver avuto un contatto con il Pesenti-Fenaroli. Tutto deve essere esaminato. É un lavoro lungo e complesso quello che stanno facendo i carabinieri del Nas di Brescia e i pm della procura di Bergamo, coordinati da procuratore facente funzioni Cristina Rota. Un lavoro di analisi e ricostruzione che durerà diverse settimane e dovrà necessariamente tenere conto anche delle tante comunicazioni interne all’ospedale, dei documenti relativi alla breve sanificazione, durata appena due ore, del pronto soccorso del nosocomio avvenuta nel pomeriggio di domenica 23 febbraio. Giorno in cui, da quanto è emerso da testimonianze e racconti dei pazienti e dei loro parenti, in pronto soccorso sono arrivati i primi due casi accertati di covid-19: dopo una breve pulizia, il pronto soccorso sarebbe stato riaperto e non sarebbe stato creato un percorso di triage separato per tutti gli altri pazienti. Situazioni che, secondo un esposto presentato a inizio settimana dal giornalista Stefano Salvi e dall’avvocato Benedetto Bonomo, si sarebbero sovrapposte a un mancato rispetto delle prescrizioni del ministero della Salute, contenute in due circolari del 22 e 27 gennaio proprio sul coronavirus.

 Secondo un rapporto stilato dallo stesso ospedale, un focolaio di covid-19 si sarebbe sviluppato in Val Seriana ben prima del 23 febbraio, giorno in cui i primi tamponi sono stati fatti al Pesenti-Fenaroli ed hanno avuto esito positivo. Ad arrivare in massa in ospedale soprattutto anziani con patologie pregresse del paese di Nembro e di altri paesi vicini, tutti con gli stessi sintomi: febbre, tosse e gravi polmoniti bilaterali di origine virale. Da parte dei medici, prima della diagnosi di coronavirus di Codogno del 22 febbraio, non ci sarebbe stato il sospetto che si potesse trattare del virus proveniente da Whuan , dato che nessuno dei pazienti bergamaschi aveva avuto contatti diretti con persone provenienti dalla Cina. Nemmeno Ernesto Ravelli, 83 anni, indicato in questi giorni come il paziente 1 della Val Seriana, aveva avuto contatti con chi era rientrato da poco da Whuan.

 Il suo caso è tra quelli finiti al centro dell’inchiesta della Procura di Bergamo. Una nipote, intervistata da ValserianaNews, ha ricostruito la vicenda a nome di tutta la famiglia, spiegando che il nonno difficilmente può essere stato “il portatore del virus in Val Seriana, come detto e scritto da alcune testate locali” dato che “non usciva di casa da mesi e nessuno di noi ha fatto viaggi o avuto contatti con l’estero”. Più probabile che l’anziano abbia quindi contratto il virus al Pesenti-Fenaroli, dov’è stato ricoverato fino al pomeriggio del 23 febbraio, quando è stato “trasferito a Bergamo dove è morto decretando il triste primato di essere la prima vittima da coronavirus della provincia”. “Noi non puntiamo il dito contro nessuno ma vogliamo che venga detta la verità e che nostro nonno e padre non è stato portatore del virus ma una delle tante vittime – aggiunge la donna – . Relativamente ai tamponi noi siamo stati messi in quarantena da Ats ma non ci sono stati fatti perché non abbiamo sviluppato i sintomi quindi non sappiamo se abbiamo contatto il virus o meno, frequentando fino a quella domenica 23 febbraio l’ospedale e i reparti infetti. Infine, in riferimento alla sanificazione del Pesenti-Fenaroli – conclude – io non so cosa abbiano fatto in pronto soccorso ma so che in Chirurgia, dove quella domenica c’erano mio nonno infetto e mio zio, non è stato fatto nulla”. Tutti aspetti che adesso la magistratura dovrà cercare di chiarire.
 

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