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Istat: “Il Coronavirus ha aumentato le disuguaglianze, cala la natalità”

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Un Paese percorso e diviso da profonde disuguaglianze. E’ quello che emerge dal rapporto annuale, reso pubblico dall’Istat. Differenze che, secondo l’istituto di statistica, sono state acuite dalla pandemia di Coronavirus che si è abbattuta, in maniera precipua, sulle persone più fragili. Un’emergenza sanitaria che ha avuto forti e importanti ripercussioni sul mondo del lavoro con donne e giovani tra le fasce più colpite della popolazione italiana.

I PIU’ DEBOLI NEL MIRINO

Testualmente, nel rapporto, si può leggere: “L’epidemia ha colpito maggiormente le persone più vulnerabili, acuendo al contempo le significative disuguaglianze che affliggono il nostro Paese, come testimoniano i differenziali sociali riscontrabili nell’eccesso di mortalità causato dal Covid-19”. E ancora: “L’incremento di mortalità ha penalizzato di più la popolazione meno istruita: il rapporto standardizzato di mortalità – che misura l’eccesso di morte dei meno istruiti rispetto ai più istruiti – è intorno a 1,3 per gli uomini e a 1,2 per le donne. Lo svantaggio è più ampio tra i 65-79enni residenti nelle aree con alta diffusione dell’epidemia, sia per gli uomini (1,28 a marzo 2019, 1,58 a marzo 2020) sia per le donne (da 1,19 a 1,68)”. Rispetto alla qualità del lavoro aumentano le diseguaglianze a svantaggio delle donne, dei giovani e dei lavoratori del Mezzogiorno. Con maggiore frequenza si tratta di lavoratori a tempo determinato e a tempo parziale, specie involontario, che occupano posizioni lavorative ad alto rischio di marginalità e di perdita del lavoro.

A MARZO DRAMMATICO INCREMENTO DELLA MORTALITA’

L’epidemia “ha colpito quasi 240mila persone e causato poco meno di 35mila decessi. Il numero di casi Covid-19 segnalati in Italia è massimo a marzo (113.011), con il picco registrato il 20 del mese, e poi inizia a diminuire; ad aprile i casi segnalati sono 94.257. Il calo è proseguito ancora più marcatamente nei mesi di maggio e giugno”.  Una delle conseguenze più drammatiche dell’epidemia è l’incremento complessivo della mortalità. Dal 20 febbraio al 30 aprile 2020 sono stati oltre 28.500 i decessi di persone positive al Covid-19; il 53% (15.114) è deceduto entro il mese di marzo, il restante 47% nel mese di aprile (13.447). Tuttavia, “si tratta di dati ancora parziali, in quanto riferiti ai soli casi di deceduti dopo una diagnosi microbiologica di positività al virus”.

L’AUMENTO DELLA MORTALITA’ NELLE PROVINCE

 “L’incremento più marcato dei decessi nel mese di marzo è stato registrato in Lombardia (+188% rispetto alla media nello stesso mese del periodo 2015-2019); seguono l’Emilia-Romagna, con un aumento del 71%, il Trentino Alto-Adige (+69,5%) e la Valle d’Aosta (+60,9%)”. Così  precisa l’Istat nella sua Relazione annuale 2020. “A livello locale i decessi nel mese di marzo 2020 aumentano di quasi 6 volte nella provincia di Bergamo (+571%), di circa 4 volte nelle province di Cremona (+401%) e Lodi (+377%), triplicano o quasi a Brescia (+292%) e Piacenza (+271%), sono più che raddoppiati a Parma (+209%), Lecco (+184%), Pavia (+136%), Pesaro e Urbino (+125%) e Mantova (+123%)”, si aggiunge.

AD APRILE 3,5 MILIONI IN CASSA INTEGRAZIONE

Secondo il rapporto “i lavoratori che hanno dichiarato di essere in cassa integrazione guadagni (Cig) nella settimana di intervista sono quasi 3,5 milioni ad aprile. Inoltre, la sospensione delle attività ha determinato un aumento senza precedenti degli occupati che non hanno lavorato: circa un quarto del totale a marzo e oltre un terzo ad aprile (pari a quasi 7,6 milioni). Sono cresciuti anche i lavoratori in ferie”.   Le stime provvisorie relative a maggio “indicano un rallentamento della discesa dell’occupazione con una diminuzione congiunturale di 84mila unità (e oltre 600mila in meno rispetto allo stesso mese del 2019); prosegue la veloce caduta della componente con contratti a termine. Nel contempo, la graduale riapertura delle attività favorisce il riemergere della ricerca di lavoro e il tasso di disoccupazione sale al 7,8%”.

PIU’ DI 4 MILIONI AL LAVORO DA CASA

“È aumentata la quota di chi lavora da casa almeno alcuni giorni nell’ultimo mese. L’incidenza è stata del 12,6% a marzo e del 18,5% ad aprile, coinvolgendo più di 4 milioni di occupati. Dei 408mila lavoratori dipendenti che hanno utilizzato la propria abitazione come luogo principale o secondario di lavoro, l’8,2% ha un contratto di telelavoro e il 20,2% un accordo di smartworking (0,5% degli occupati dipendenti) per un totale di circa 116mila persone”sottolinea ancora l’Istat nel suo Rapporto annuale 2020.

“Il lavoro da casa è un’opportunità ma c’è il rischio che il confine tra tempi di lavoro e tempi di vita diventi labile. Circa il 40% di chi lavora da casa (luogo principale o secondario) dichiara di essere stato contattato fuori dell’orario di lavoro almeno tre volte da superiori o colleghi nei due mesi precedenti; la quota arriva quasi al 50% tra chi usa la casa come luogo di lavoro occasionale. Una risposta tempestiva, anche se fuori dell’orario di lavoro, è stata richiesta al 26,1 e al 20,9% di chi lavora a casa come luogo principale e secondario e al 33% di chi lavora a casa occasionalmente”, si aggiunge.

CALO OCCUPAZIONE PER LE DONNE

“Nel corso del 2019 la lunga fase di crescita dell’occupazione si è esaurita, con un moderato calo nella seconda parte dell’anno. Dopo il ristagno dell’inizio del 2020, a marzo e più marcatamente ad aprile, gli occupati hanno registrato un netto calo (circa 450mila in meno nei due mesi, sulla base dei dati più aggiornati) che ha riguardato soprattutto la componente giovanile e quella femminile”. E’ quanto si sottolinea nel Rapporto annuale Istat 2020. A causa delle limitazioni nella possibilità di azioni di ricerca di lavoro, l’effetto della crisi ha determinato un aumento dell’inattività e un calo del tasso di disoccupazione (al 6,3% ad aprile).  Tra le donne è alta, anche se non maggioritaria, la diffusione dei cosiddetti orari antisociali – serali, notturni, nel fine settimana, turni – che assumono grande rilevanza per la qualità del lavoro e la conciliazione con la vita privata. Più di due milioni e mezzo di occupati – di cui 767mila donne – dichiarano infatti di lavorare di notte; quasi cinque milioni – di cui 2 milioni donne – prestano servizio la domenica e oltre 3,8 milioni – 1 milione e 600mila donne – sono soggetti a turni.

CADUTA DELLA NATALITA’

 “L’Italia è un Paese a permanente bassa fecondità. Il numero medio di figli per donna per generazione continua a decrescere dai primi decenni del secolo scorso. Si va dai 2,5 figli delle donne nate nei primissimi anni ’20, ai 2 figli per donna delle generazioni dell’immediato secondo dopoguerra, a 1,56 figli per le donne della generazione del 1965, fino a raggiungere il livello stimato di 1,43 per la coorte del 1978. La rapida caduta della natalità potrebbe subire un’ulteriore accelerazione nel periodo post-Covid” si rileva l’Istat nel suo Rapporto annuale 2020. “Recenti simulazioni, che tengono conto del clima di incertezza e paura associato alla pandemia in atto, mettono in luce un suo primo effetto nell’immediato futuro; un calo che dovrebbe mantenersi nell’ordine di poco meno di 10mila nati, ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021”.

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