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Kamala Harris, la prima donna vicepresidente degli Stati Uniti

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

‘Pioneer’, in italiano pioniera. E’ il nome in codice con il quale Kamala Harris, nuova vicepresidente democratica degli Stati Uniti, ha scelto di farsi chiamare dai servizi segreti che la proteggono (il soprannome del suo compagno di ticket, Joe Biden, è ‘Celtic’, viste le origini irlandesi). Pioniera di nome e di fatto: Harris, di madre indiana e padre giamaicano, è la prima donna afroamericana candidata alla vicepresidenza da uno dei maggiori partiti americani (la prima fu Charlotta Bass nel 1952 per il Partito progressista in ticket con Wendell Lewis Willkie, quando vinse il repubblicano Dwight D. Eisenhower).

Ma soprattutto, è ora la prima donna nonché la prima afroamericana a ricoprire la carica di vicepresidente. ‘Pioniera’ lei ma scelta sicura per Biden da un duplice punto di vista: in termini anagrafici, lui ha 77 anni, lei 55, e di appeal in un momento storico che vede protagonisti il movimento Black Lives Matter, MeToo e più in generale un nuovo assetto demografico degli Usa (la sua figura diventa cruciale ad esempio per l’elettorato giovane afroamericano).

Nasce a Oakland in California da genitori immigrati. Dopo il divorzio dei due, cresce insieme alla sorella Maya e alla madre Shyamala Gopalan Harris, una ricercatrice per il cancro e attivista per i diritti civili. Frequenta l’università di Howard a Washington e dopo la laurea in legge alla Hasting in California, comincia la sua carriera giuridica nell’ufficio del procuratore distrettuale della contea di Alemada. Da qui è tutto un crescendo. Nel 2003 diventa procuratrice distrettuale di San Francisco e poi la prima procuratrice donna, afroamericana e di origine asiatica della California dal 2011 al 2017. Nello stesso anno arriva la nomina a senatrice dello Stato (di tradizione dem) e comincia a farsi largo nell’ambiente progressista dopo l’audizione del giudice nominato da Trump alla Corte Suprema Brett Kavanaugh, passata alla storia per la ‘grinta’ della senatrice nel porgli le questioni, e avendo a che fare con il ministro della Giustizia, William Barr.

Sulla cresta dell’onda, arriva a lanciare la candidatura per la Casa Bianca proprio nella sua Oakland e riceve una calorosa accoglienza da parte dell’elettorato salvo poi non riuscire a dare un’impronta precisa alla sua campagna elettorale e risultare confusa su temi come l’assistenza sanitaria. Non è mancato un momento di tensione con l’attuale partner di ticket, che aveva duramente attaccato durante le primarie dem per la sua opposizione al busing (pratica di portare i bambini in autobus a scuola al di fuori dei loro quartieri di residenza per ridurre la segregazione razziale). “C’era una ragazzina che veniva portata a scuola in autobus ogni giorno. Quella ragazzina ero io”, aveva sferzato Harris mettendo in qualche modo in dubbio l’antirazzismo di Biden. La mossa aveva fatto ancora più rumore vista l’amicizia con Beau Biden (entrambi erano procuratori generali, lui del Delaware), ed Harris era balzata avanti nei sondaggi. La sua corsa arriva tuttavia al capolinea a dicembre 2019 prima del contest dem in Iowa e a marzo fa il suo endorsment all’ex vice di Obama con la promessa di fare “tutto ciò che è in mio potere per aiutarlo a diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti”.

Si definisce una “procuratrice progressista”, anche se questa affermazione raccoglie pareri discordanti. Spesso viene accusata di essere stata, durante l’incarico in California, troppo dura nel combattere i reati, soprattutto di droga, commessi dai neri, sull’assenteismo scolastico, e di non aver agito con fermezza per frenare la brutalità della polizia di Los Angeles (uno dei casi riguardava la morte di due ragazzi neri uccisi dalle forze dell’ordine). Per questi motivi ‘Kamala is a cop’ (Kamala è una poliziotta) o ‘top cop’ (super poliziotta) sono dei ritornelli molto conosciuti nella base democratica più liberale. Prima di dimettersi da procuratrice Harris ha cercato di rimediare, compiendo alcuni passi in questa direzione come l’apertura di indagini sui diritti civili in due dipartimenti della polizia Californiana considerati i più ‘mortali’ degli Usa e la messa a punto di un database sull’uso della forza da parte degli agenti.

Harris è sposata con Douglas Emhoff, avvocato di 56 anni, ebreo con due figli, che ha conosciuto grazie ad amici in comune. In caso di vittoria, Emhoff potrebbe essere il primo ad assumere la qualifica di ‘second gentleman’ degli Stati Uniti, in quanto marito della prima vicepresidente donna statunitense.

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