L’elettricità non è un bene “indispensabile alla vita”. A dirlo è la Cassazione che ha respinto così il ricorso di Concetta, quarantacinquenne pugliese sfrattata, senza lavoro e con una figlia incinta. Si era allacciata abusivamente alla rete elettrica a casa delle sue condizioni “precarie e faticose”, ma per i giudici “chi si allaccia abusivamente alla rete sostenendo di non avere i soldi per la bolletta non può essere scusato per aver agito spinto dallo stato di necessità”.
Ad avviso della Suprema Corte, “l’esimente dello stato di necessità postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora ad esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti”. Nel caso affrontato dalla Cassazione – spiega la sentenza 39884 depositata oggi – “la mancanza di energia elettrica non comportava nessun pericolo attuale di danno grave alla persona, trattandosi di bene non indispensabile alla vita, nel senso sopra specificato (infatti, l’energia elettrica veniva utilizzata anche per muovere i numerosi elettrodomestici della casa): semmai idoneo a procurare agi e opportunità, che fuoriescono dal concetto di incoercibile necessità”, condizione che la legge richiede per non emettere condanna.
Concetta dovrà pagare duemila euro di multa per la pretestuosità dei suoi motivi di ricorso.