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La tegola Cesa si abbatte sul centrodestra: Udc in fuga

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Un altro terremoto scuote il centrodestra. Questa volta il colpo arriva direttamente dalla Calabria – regione che andrà al voto ad aprile – e fa tremare la stabilità dell’alleanza. L’indagine è denominata ‘basso profilo’, ma è tutt’altro, e nel numero cospicuo di indagati figura anche Lorenzo Cesa, segretario centrista, accusato di associazione a delinquere semplice. Ultimo custode dello scudo crociato, Cesa si è subito dimesso dal suo incarico, difendendo la sua onorabilità come uomo e politico lontano da coinvolgimenti con la ‘ndrangheta. La giustizia farà il suo corso, tuttavia la scure del sospetto sembra essersi nuovamente scaricata sulla coalizione. L’Udc era l’anima dell’alleanza attenzionata – soprattutto da Matteo Salvini e Giorgia Meloni che oggi sono tra l’altro saliti al Colle per ribadire la loro richiesta di dimissioni del governo – per i mai negati contatti con il premier Giuseppe Conte. La stessa Paola Binetti, il giorno della fiducia in Senato, aveva confermato il ‘no’ al sostegno, lasciando intendere però che la porta del dialogo era solo socchiusa.

Oggi la senatrice, annoverata tra le possibili ministre del Conte ter, fa un piccolo passo indietro: “Avevamo lavorato per dare una prospettiva al Paese. Ora dobbiamo riflettere: ogni scelta dovrà essere presa con ponderazione”, spiega al Corriere della Sera. Intanto i tre leader, Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi non possono non interrogarsi su quali saranno gli effetti di questa inchiesta giudiziaria. Cesa aveva improntato la trattativa con palazzo Chigi, si racconta, ponendo paletti imprescindibili, come ad esempio la necessità di dimissioni del premier per aprire la strada al Conte ter, in questo modo aveva impedito fughe in avanti dei suoi senatori. Ora senza la sua guida, sono i timori nel centrodestra, De Poli, Saccone e la stessa Binetti potrebbero essere facilitati a svignarsela, portando con sé anche il simbolo del partito, già proiettato nel restyling europeista del PPE. L’indagine su Cesa, contrariamente a quanto ci si aspettava, non sembra aver fermato tuttavia il dialogo dei pontieri di palazzo Chigi con l’Udc. Ha invece stoppato, si apprende dai corridoi di palazzo Madama, l’euforia di alcuni forzisti che – forti dello strappo di Maria Rosaria Rossi e Andrea Causin in Senato e di Renata Polverini alla Camera – si erano attivati per raccogliere più ‘volenterosi’ possibili. Fra tutti il senatore pugliese Luigi Vitali che rimanda al mittente i rumors circolati in questi giorni: “Io pronto a lasciare Fi per appoggiare il governo? Per me sarebbe indigesto sostenere un governo che ha come ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Niente di personale ma dovrei rinnegare tutto quanto ho fatto fino a oggi”. Un altro forzista che esce allo scoperto dopo le voci su un suo cambio di casacca è Claudio Fazzone che bolla la notizia come “priva di qualsiasi fondamento”.

A sparigliare ancora di più le carte nella coalizione oggi è Mara Carfagna. Dopo mesi di silenzio – la vicepresidente della Camera è diventata mamma ad ottobre e poi è stata costretta a letto per una polmonite non da Covid – la deputata azzurra è intervenuta a gamba tesa nel dibattito politico. “La sola prospettiva patriottica in questo momento sarebbe un governo di salvezza nazionale, con una guida autorevole e un sostegno largo, nel quale tutti remino nella stessa direzione”, tuona. L’ex ministra delle pari opportunità condivide quindi la linea del leader di Cambiamo, Giovanni Toti, che da giorni sponsorizza un esecutivo di salute pubblica come una soluzione della crisi. Ipotesi che nel centrodestra potrebbe essere sostenuta sicuramente da Silvio Berlusconi e l’ala più moderata e liberale di Forza Italia e su cui potrebbe convogliare anche Salvini se fosse l’unica soluzione per salvare il Paese. Prospettiva che isolerebbe Meloni convintamente sulla posizione di richiamare gli italiani al voto. Il ritorno politico di Carfagna indubbiamente rinvigorisce i delusi di Fi, quelli che non vogliono proseguire all’ombra del simbolo della Lega. Vista come leader naturale di un movimento di centro, fondato sui valori del Ppe, Carfagna ha rimesso in moto movimenti e contatti, sia alla Camera che al Senato, entusiasti nello schierarsi per un governissimo con alla guida di una persona autorevole. E Giuseppe Conte non è tra queste.

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